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Monsieur Lazhar

Regia di Philippe Falardeau vedi scheda film

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La recensione su Monsieur Lazhar

di OGM
8 stelle

Un uomo emigra, per motivi politici, dall'Algeria al Canada. In questo modo si incontrano due mondi antitetici, ma ugualmente chiusi e violenti: quello infestato dall'integralismo religioso e quello affetto dal morbo dell'indifferenza, privo di rispetto per la cultura e disabituato all'amore. Bachir Lazhar è scappato da una patria che gli ha sterminato la famiglia per via di un libro scritto dalla moglie E nel Québec ha trovato un'umanità ufficialmente in pace, eppure rosa da un malessere profondo, coperto da un pudico silenzio. Questa è la realtà che lo accoglie: una scuola elementare che cerca un sostituto per una maestra che si è impiccata nella sua aula, durante la ricreazione. Un evento di cui in classe si può parlare solo in presenza della psicologa. L'argomento è tabù, anche se riguarda temi centrali della vita umana: la solitudine, l'incomprensione, l'incomunicabilità, la morte. Il discorso educativo non può toccare questi aspetti, che sono stati estromessi dal campo dei sentimenti, per finire relegati nell'ambito specialistico della patologia mentale.  Ai bambini certe cose non si possono dire. Il motivo del divieto è lo stesso per il quale è vietato toccarli, sia che si tratti di mollare loro uno scappellotto di ammonizione, sia che si tratti di abbracciarli in un momento di sconforto: la ragione è che l'infanzia va protetta.  In questo termine si cela, però, l'intenzione di coinvolgere i più piccoli nell'ipocrisia dei grandi, che non vogliono vedere, per non essere indotti a pensare, e magari costretti ad affrontare domande incapaci di produrre risposte, ed inclini a generare fastidiosi sensi di colpa. Questo film è una storia di menzogne, di cose e persone che sono fuori posto, di fatti che accadono senza un perché. Lo stesso Bachir partecipa alla messinscena, visto che si spaccia per quello che non è: si candida per un posto da insegnante, benché quella non sia mai stata la sua professione. Bachir, prima di fuggire dal suo Paese, era un ristoratore. Il curriculum che esibisce per farsi assumere è falso, probabilmente lo ha copiato da quello della moglie. Ed il percorso che intraprende, con la classe orfana della povera Martine Lachance, è decisamente fuori dai canoni, ambizioso, e indirizzati verso obiettivi che vanno ben al di là dei programmi ministeriali. Bachir vuole che i suoi allievi crescano, mettano le ali ed escano dal nido nel quale fino a quel momento sono stati coccolati. Tanto per incominciare, devono imparare ad esprimersi in un francese corretto e raffinato, come quello usato da Honoré Balzac, anziché continuare a farfugliare l'idioma della loro terra, un québécois approssimativo e pieno di termini gergali. I suoi dettati sono difficili, e le sue lezioni molto dure, ma è tempo che quei piccoli uomini e quelle piccole donne si svezzino dall'artificioso incanto di un mondo ovattato, reso rassicurante e giocoso dai genitori e dagli insegnanti, che li preservano dai pericoli e li circondano di colori ed allegria, organizzando per loro attività ludiche, recite teatrali, festicciole a base di musica e dolciumi. Il loro errore è costruire, per i propri ragazzi, un'illusoria bellezza, anziché accompagnarli lungo la strada, lunga ed accidentata, che conduce alla scoperta della verità. Il rigore di Bachir forse è un po' triste – come gli fa osservare una sua collega – ma è la doccia fredda che lava via la pigrizia e la reticenza, insieme al vizio di volgere lo sguardo altrove, quando la situazione si fa seria. Anche cercare di impostare un dialogo con un interlocutore estraneo, che non condivide le stesse origini e la stessa mentalità, è un'operazione indispensabile, in un'esistenza che sia veramente consapevole ed aperta alle nuove esperienze. La diversità non è – come il suicidio di Martine - un incidente della normalità che si tollera o si accetta o si finge di non vedere: è, invece, un'opportunità da cogliere con coraggio. Elaborare un lutto e interagire con uno straniero sono compiti che implicano lo stesso sforzo, doloroso ma positivo, che punta a completare ed arricchire il quadro della realtà a partire da quell'intrusione che, improvvisamente, ne ha turbato l'armonia.  Monsieur Lazhar attinge dal romanzo di formazione e dal documentario scolastico per superarli entrambi, scombinandone agilmente gli schemi: in nessun istante è chiaro (e non deve esserlo, a nessun costo) chi stia  insegnando a chi, e chi stia imparando da chi. Il confronto è un intricato gioco di rimbalzi, che sovverte tutte le simmetrie e le relazioni gerarchiche, per dimostrare che – fortunatamente – le chance di ricredersi non si esauriscono mai.

 

Questo film è stato tratto dal dramma teatrale Bashir Lazhar (2002) di Évelyne de la Chenelière.  Candidato canadese al premio Oscar 2012 per il miglior film straniero, ha fatto parte della cinquina finalista.

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