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Il mio domani

Regia di Marina Spada vedi scheda film

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La recensione su Il mio domani

di OGM
8 stelle

Non c’è futuro se il presente è vacuo. Monica Barbieri è una donna sola. Abbandonata dalla madre quando aveva solo sette anni, adesso che è una trentenne in carriera vive di relazioni sentimentali precarie e di un lavoro che le procura solo inimicizie. I suoi punti di riferimento sono, in realtà, posizioni scomode, come quella dell’amante del capo, un uomo sposato, e quella della formatrice inviata a preparare i manager alle conseguenze delle ristrutturazioni aziendali. In entrambi i ruoli, si ritrova ad essere custode di una verità sgradita, che, se rivelata, la renderebbe solo invisa alla controparte. Nel tempo libero si dedica alla fotografia, come se l’arte di fissare l’attimo potesse servire a dare un senso preciso ad un’esistenza fatta di passaggi che non portano a nulla. Ai suoi allievi è costretta a dire che il cambiamento è un momento positivo, un’opportunità di crescita, un vuoto temporaneo che attende solo di essere riempito di interessanti novità. La sua esperienza personale, per contro, le insegna che la transitorietà è un male dal quale non si guarisce,  e che preclude, a chi ne è colpito, la possibilità di definire, in maniera chiara e soddisfacente, i contorni del proprio essere. Il divenire, a cui Monica ama dedicare le istantanee che scatta, un po’ per caso, nei tempi morti della sua routine, è una speranza che non si avvera. È un’attesa che si conclude con la sparizione di ciò che era. Un ciliegio seccato. Un padre defunto. Una sorella che tronca ogni rapporto. L’instabilità è sconfitta solo dalla perdita definitiva. Monica lo sa, e intanto sta a guardare. La vediamo spesso affacciata a una vetrina, a una finestra, al display di una fotocamera, ai mille occhi anonimi e metallici di cui sono cosparse le città moderne. Al di là c’è solo l’incertezza su un domani che è il dopo di tutti, ma solo per pochi si trasformerà in un nuovo adesso. Per Monica, invece, significherà soltanto un ulteriore accumulo di cose finite, di dolori che umiliano e non premiano in alcun modo. L’aria può sembrare serena, intrisa di normalità, eppure essere piena di anonimo squallore: si può tirare avanti respirando a pieni polmoni un’atmosfera fredda e grigia, che rende opaco persino il volto della libertà, della giovinezza, dell’amore, del successo. La regia di Marina Spada assume l’impegno di non tradire mai l’idea di un’uniformità spenta, di una mancanza di luce che assorbe ogni emozione eppure non impedisce di sopravvivere. Come Monica, si può continuare ad esistere in un’inutilità generale che non intacca l’immagine di autonomia, sicurezza di sé, di un individuo che può dirsi arrivato. L’apparente ricchezza può essere un mucchio di sensazioni marce. Quando se ne accorgerà, Monica deciderà di rinunciare al suo abbondante nulla, per tuffarsi nell’illusione di un passato che non muore mai, anche se, nella veste fantastica della leggenda, non è, in effetti, mai esistito. Il mio domani è un diario le cui pagine sono scritte a fatica, forzatamente coperte di segni che macchiano il foglio con l’esangue inconsistenza dell’inchiostro annacquato. La tristezza, quando è troppo insapore, stenta a riconoscersi come tale, e così persevera nel suo tentativo di illuderci; di convincerci che sia solo una profonda tranquillità dell’animo alla quale, stoltamente, non sappiamo essere grati.

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