Espandi menu
cerca
Romanzo di una strage

Regia di Marco Tullio Giordana vedi scheda film

Recensioni

L'autore

lorenzodg

lorenzodg

Iscritto dal 2 ottobre 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 52
  • Post 2
  • Recensioni 272
  • Playlist 23
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Romanzo di una strage

di lorenzodg
6 stelle

Romanzo di una strage” (2012) è il nono lungometraggio del regista milanese che si misura, per l’ennesima volta con la storia del nostro Paese. Una storia di fatti, di suggestioni, di voci, di supposizioni e di realtà nascoste (da tutti) da una scrittura avveduta, scorretta e parziale. Appunto un romanzo e niente da anteporre ma chiudere una storia mai chiusa e per sempre riposta dalle leggi.
  Un film di spaventi non manifestati, di familiarità oppresse, di sobrietà inculcate, e di chiari di luna notturni. E’ stretto il percorso dei fatti e pochi i resoconti veritieri.. Il momento dell’inizio delle stragi si muove dal 12 dicembre 1969 quando presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana vi furono diciassette morti e decine di feriti per l’esplosione di una bomba. Il film parte da questo ‘mistero’ italiano per arrivare al delitto del commissario Calabresi.
  Una rappresentazione dimessa, contrita e schematica, fatta di interni e luoghi di passaggio e di ricerca della verità dove ogni volto pare incancrenito nei suoi gesti e specchio di vuoti, di memorie assopite e di sangue annerito. Una pellicola rituale, senza sobbalzi dove i piccoli gesti scavalcano ogni lacerante messaggio di Stato sconfitto e qualsiasi rendiconto giornalistico di comodo. Manca una vera e propria forza narrativa e un taglio di documento itinerante che segue l’uomo e i suoi mondi: I politici e i loro messaggi si perdono nella notte dei tempi e qualsiasi resoconto dell’epoca appartiene ad un antico sconosciuto nel nostro Paese. Tutto o quasi tutto è stato rimosso: niente remore per dirlo ma anche molti modi per dirlo male e con buchi di memoria corta. Un film fatto di ammaestramenti poco amalgamabili e di uno sconcerto di schiume di rabbia poco tangibili ed evidenti; giusto fare qualcosa per rimuovere i neuroni italici ma, con franchezza, la pellicola appare poco trasparente e alquanto prosaica e con un impatto immaginifico inespresso. Marco Tullio Giordana appare trattenuto a se stesso (forse è stato il suo limite) e la sceneggiatura si ostina a non rompere le vere uova del paniere. La fiction allargata e ben limitata nei mezzi a disposizione riesce a dare un prodotto dignitoso (nelle immagini) ma permissivo e titubante (nelle carte processuali). I nomi si fanno ma restano ignavi nella storia che raccontano e ciascun contatto col pubblico resta poco coinvolgente.
  Restano delle belle sequenze: l’apertura iniziale con la manifestazione e gli scontri con la polizia, il breve carrello all’interno della Banca dopo la strage, i movimenti di macchina dentro le auto della polizia e i fermi immagini sulle tv e i documenti in bianco e nero. Gli attori non incidono appieno alla struttura narrativa e la stessa non fa risaltare alcuni volti ben riusciti. Come da segnalare alcuni piccoli gesti semplici ma indicativi: la sciarpa che la moglie da a suo marito (Pinelli) e l’indicazione che la consorte di Calabresi dà al marito per la scelta della cravatta.
  Un esempio di cinema civile da fare ma che si limita alla superficie degli eventi stessi. Tutto procede in ordine nonostante interrogatori, processi e morti. E la divisione della pellicola in fasi di costruzione (come documento in progress) vuole dare il senso della profondità ma cade in un glossario di scene ben girate che si chiudono senza forti aspirazioni.
  Il processo vero al cinema che non apre il suo guscio (completamente) quando si può permettere di fare film di tale argomento. Confinato nello scritto e nella sua finzione. In un modo diverso era caduto un altro film italiano (cosiddetto ‘sociale’) “L’industriale di Montaldo (tra l’atro con Pierfrancesco Favino).
  La prova di Valerio Mastandrea nel ruolo di Luigi Calabresi appare discreta ma esigua nei gesti e nella forza di carattere; Pierfransesco Favino appare lucido e in parte nel ruolo di Giuseppe .Pinelli. Fabrizio Gifuni (Aldo Moro) riesce a dare un’asciuttezza precisa alla sua interpretazione. Omero Antonutti (Saragat) è veramente quello che riesce a farsi ricordare. Ci sono tutti i personaggi che hanno aperto questa triste fase del nostro Paese (da Ventura a Valpreda).
  Degna di nota la fotografia e le musiche di Franco Piersanti.
  Regia lineare e senza grandi sussulti.
  Voto: 6 +.
   (su icinenemaniaci.blogspot.com)

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati