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Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno

Regia di Christopher Nolan vedi scheda film

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La recensione su Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno

di scapigliato
8 stelle

Se il Joker di Heath Ledger può essere il Male magmatico del caos, l’informe ombra junghiana che si annida dietro ognuno di noi come una “seconda faccia”, Bane può quindi essere il Male fisico, concreto, il dolore reale, il corpo dolorante/doloroso  che soffre e procura dolore. Se aveva ragione Sir Alfred Hitchcock, sentenziando che “più riuscito è il cattivo, più riuscito è il film”, allora va da sé che nel dittico sul cavaliere oscuro – ci si dimentichi pure di Batman Begins – i cattivi a cui viene assegnato il compito di (ri)creare Bruce Wayne/Batman vanno oltre la loro facile prima lettura, superano di gran lunga lo stereotipo del villain di turno – cosa peraltro che hanno fatto benissimo anche i supercattivi di Spider-Man – e si trasformano non tanto nell’altro da sé freudiano che da sempre è alla base del miglior plot narrativo – senza conflitto non c’è azione, senza azione non c’è narrazione – bensì diventano la chiave di lettura dell’intero film e soprattutto la chiave per interpretare l’Eroe oggi.

Nella fattispecie parliamo di Batman, a cui andrebbero aggiunti almeno quelli burtoniani, ma potremmo allargare lo spettro analitico anche all’arrampicamuri di Sam Raimi, ai mutanti di Brian Singer, fino ad arrivare al predestinato di Bruce Willis in quello che ad oggi è uno tra i più riusciti film sulla riflessione del ruolo dell’Eroe sia nella realtà che nell’immaginario sociale, Unbreakable. La lezione del Joker di Nolan, come dell’Uomo di Vetro di quest’ultimo film di M. Night Shyamalan, è che se Batman è Batman, se l’eroe è l’eroe, è perché c’è un antieroe, c’è un’ombra che agisce esattamente contro di lui, c’è un’energia, un riflesso, una propulsione, un’idea che va ad agire nel senso inverso al pensiero dominante, e che così lo rende tale agli occhi della massa indistinta: un Eroe.

Bane è quindi, in questo shot finale, non solo il Male Assoluto, come ingenuamente viene epitetato dalle sue vittime, ma anche l’antitesi perfetta del suo opposto: l’Uomo Pipistrello. Il corpo di Bane, benché menomato al viso, è un corpo muscoloso, vigoroso e taurino. Strozza con due dita un uomo, procura infarti solo appoggiando al petto la sua grossa mano. Bane è il corpo, edonisticamente parlando, del dio della guerra, del mito antico dell’uomo guerriero, così come è una nuova incarnazione di The Shape, l’ombra per eccellenza, il Michael Myers della cultura popolare statunitense, il corpo forte e indomabile dell’orrore viscerale, dell’origine sanguinaria degli States, l’ombra di indiani, messicani e negri, insomma l’irrisolto americano per definizione. E se Bane è cotanto corpo vigoroso, Bruce Wayne/Batman è un corpo avvilito, avvizzito, decadente come la sua Gotham. E qui lasciamo da parte gli attori di questa ennesima rappresentazione greca del mondo, della vita e della morte, per dedicarci al suo metteur en scène. Sì, perché Christopher Nolan, come tutti i veri grandissimi registi, non è solo un regista che sa dirigere gli attori, ma è soprattutto poeta degli spazi.

Il Cinema per molti è spazio e tempo. Credo sia più spazio che tutto il resto. Il Cinema è spazio. È architettura di forme, di spazi e di corpi in movimento. È geografia del pensiero umano, mezzo per mappare l’anima. Il Cinema si serve della bi-dimensione per raccontare la tri-dimensione – ecco che infatti non ce ne facciamo nulla del 3D, che nasce obsoleto. E Christopher Nolan ci ha insegnato essere un virtuoso del racconto spaziale. Il luogo, la sua architettura è imprescindibile in ogni sua narrazione. Come ci fa notare Noel Ceballos sul numero 2.026 di Fotogramas, Nolan decostruisce le chiavi tematiche del noir nel suo folgorante esordio, Memento; complica la geometria narrativa di Prestige; sviluppa un’idea metropolitana, di concezione cartesiana, tra sogno e realtà con Inception. Qui, nei tre Batman, ma soprattutto negli ultimi due capitoli, e più sistematicamente in quest’ultimo “ritorno”, il regista essenzializza le linee estetiche della sua Gotham, sempre più New York, sempre più Mondo, e la renda la cassa di risonanza della psiche del suo oscuro protettore. Come Bruce Wayne/Batman sono decadenti, rinchiusi in gotici palazzoni, isolati dal consorzio umano, fisicamente provati, annullati dal tedio, così anche la Città è in crisi, è in caduta libera, e con l’arrivo del braccio muscolare del pensiero nichilista, Bane, la città è lanciata ancora più nel caos. È trasformata in un teatro di guerra balcanico. Solitudine, freddo, morti ammazzati, anarchia e disperazione accompagnano le strade di Gotham lungo la fine dei suoi giorni. L’innesco di bombe sparse su tutto il territorio cittadino, sono anche la detonazione dell’implosione psicologica dei personaggi, che cadono, implodono su se stessi incapaci di capire e realizzare quanto siano colpevoli e quanto vittime della loro stessa carneficina.

Tutta questa riflessione sulla Città, il suo spazio, le sue architetture, Nolan la drammatizza attraverso i suoi personaggi. Attraverso un Bruce Wayne stanco ed avvizzito, quasi scoraggiato, una pietra scalciata che rotola senza sapere dove. Lo fa con la figura di un Alfred e di un Lucius Fox allo sbando, senza bussola: basta, non servono più, congedati. Utilizza la donna gatto, dalle labbra di fuoco, per convertire in fumetto la bellezza e l’erotismo femminili, i cui ambienti bohèmienne sono ormai fuori luogo, fuori scena, sfrattati dalle forme alte e sterili del mondo borghese e finanziario. Drammatizza, infine, la decadenza della Città-America – forse Mondo – con la decadenza del suo eroe oscuro, ormai sul viale del tramonto, rassegnato e opaco, forte ma trattenuto, a cui fa eco il viso e il corpo devitalizzati di quel grande attore della generazione di mezzo che è Joseph Gordon-Levitt, aka il Batman del futuro. La sua recitazione misurata e sobria, in netto contrasto con le sue famose performance di Hesher, Mysterious Skin, Brick e Killshot, le sue pose plastiche, da cinema hollywoodiano d’antan, la ricercata inespressività del gesto attoriale, fanno del suo personaggio un fantasma tra i fantasmi. L’azione certo non manca, manca però il calore, la gigioneria dell’attore. Qui Gordon-Levitt è vampirizzato dalla decadenza di Gotham, da quella del suo eroe oscuro, da quella della sua impotenza davanti al grande Male Assoluto, e anche davanti ai suoi stessi colleghi.

Anche attraverso il suo corpo, Nolan fa parlare la Città, e attraverso la voce sorda della metropoli in sfacelo, il regista dipinge il suo eroe, e la sua idea di eroe, con le mille voci di un popolo che si interroga. Dall’eroico-urbano commissario Gordon – a cui Gary Oldman dà un grande spolvero, ma noi lo preferiamo cattivissimo come sempre – all’ipocrita e codardo capo della polizia a cui dà volto Matthew Modine, fino a tutti i comprimari, le comparse, i bambini dell’istituto per orfani e anche i tanti mercenari, i cattivi defilati, l’indomabile Bane e l’Ape Regina che tra le sue gambe aperte non solo deposita i misteri e i piaceri dell’uomo, ma ne cova segretamente la morte e la distruzione virile. Tutti partecipano alle decostruzione decadente della città-Mondo, così come tutti poi contribuiranno al riscatto di questa città, ma anche davanti alla sconfitta del corpo maligno e di tutto l’insano progetto di sterminio di massa, il canto di vittoria finale è solo un esorcismo. La crisi dell’eroe l’ha voluta l’eroe stesso, la spirale ctonia che porterà all’oscurità primordiale non era solo un progetto di Bane, ma resta il moto inerte di un’intera società detta civile, detta democratica, detta capitalista.

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