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Contraband

Regia di Baltasar Kormákur vedi scheda film

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La recensione su Contraband

di FilmTv Rivista
8 stelle

Pur rientrando nel filone dei remake dei film europei rifatti per adattarli al palato statunitense, Contraband risulta più interessante della somma delle singole parti. Il merito è di Mark Wahlberg, saggio produttore e ottimo interprete molto sottovalutato, che nutre un forte gusto per le ambientazioni operaie e sa circondarsi di attori capaci di sintonizzarsi sul suo registro minimale (Giovanni Ribisi, Ben Foster, l’ottimo Caleb Landry Jones). A ciò si aggiunga un direttore della fotografia del valore di Barry Ackroyd che vanta al suo attivo The Hurt Locker e Green Zone. Pur non essendo l’ambientazione portuale all’altezza di quella degna di Jules Dassin assaporata nel corso della 2ª Stagione di The Wire, Contraband riesce a farci dimenticare di essere un rifacimento di Reykjavík-Rotterdam di Óskar Jónasson e a inserirsi agevolmente nella poetica operaio/familista dominata e/o minacciata dal tradimento, caratteristica dell’attore e produttore così come questa si è andata sviluppando da Entourage a The Fighter. Wahlberg riprende il ruolo che fu di Baltasar Kormákur nel film di Jónasson, e per tirare fuori dai guai il cognato decide di tornare a Panama e contrabbandare banconote false. La pellicola si concede il lusso di carburare con lentezza, permette alla tensione di gonfiarsi, e poi dispiega un micidiale meccanismo da caper movie che evita accuratamente il rischio del virtuosismo fine a se stesso. Si potrebbe obiettare che è tutto già visto, ma sono il gusto, lo sguardo, la solidità di un’idea di messinscena, limitata fin quanto si vuole, e la precisione dell’esecuzione a convincere e a fare la differenza. I limiti strutturali e produttivi diventano così il perimetro e il segno esatto della sua riuscita filmica. Inoltre Contraband resta ancorato saldamente al suo ambiente e alle facce (William Lucking, il Piney di Sons of Anarchy, è il padre del protagonista; David O’Hara incarna da par suo il ras del porto). Con tutte le differenze del caso, pura serie B solida e saporosa come un discaccio di punk’n’roll di Jason & the Scorchers. Una volta un film come Contraband era solo “cinema di genere”. Oggi, invece, con i suoi limiti, ci ricorda tutto ciò che il cinema americano non è più.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 30 del 2012

Autore: Giona A. Nazzaro

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