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Contraband

Regia di Baltasar Kormákur vedi scheda film

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La recensione su Contraband

di M Valdemar
6 stelle

Un campionario drogato di strepitose facce da galera anima un film che, nato “male” sulle ceneri (recentissime) dell’originale islandese Reykjavik-Rotterdam, dal quale è tratto, si tramuta in una folle e inarrestabile cavalcata Blues Rock ad alto tasso di ruvidezza, dinamicità, eccitazione.
E di “sano” rozzo machismo. Sì, perché all’unica donna presente - configurata sulla struttura divina di una sempre splendida Kate Beckinsale (Kate Farraday) - gliele danno di santa ragione: la picchiano, la imbavagliano, le danno colpi proibiti (e forse definitivi), infine la tumulano nelle fondamenta di un edificio in costruzione con una colata di cemento a spegnerne gli ultimi barlumi di vita … E tutto per colpa di quel tonto del fratellino, uno che prima (mal) agisce e poi (non) pensa, trascinando con sé nel baratro tutti i familiari, nipotini compresi.
Fortuna che c’è il coniuge Mark Wahlberg (Chris Farraday), ex criminale genio del contrabbando, che ha messo la testa a posto e si gode cotanta mogliettina: dolori atroci spettano a chiunque prova a toccarla, lei e i figlioletti. Così il rientro, tutt’altro che poco gradito (“non far finta che non ti stai divertendo“ lo becca il cognato), alle illecite attività d’un passato glorioso: il padre in gattabuia che lo riavvia nel “gioco” - non prima d’avergli fatto promettere che sarà l’ultima volta -, l’amico fraterno che lo aiuta con gli agganci giusti, alcuni poco raccomandabili lavoranti di una nave cargo nuovamente complici, il viscido comandante del suddetto natante come spina nel fianco, e via, la scatenata corsa contro il tempo comincia.
Andata per Panama (obiettivo un ingente carico di meravigliosi soldi falsi) e ritorno.
Tic tac tic tac tic tac … L’impaziente collerico schizzato tatuato sudicio, ma pure padre di famiglia, Giovanni Ribisi (uno che ha la “patente” per questi ruoli) è lì che attende, con la mogliettina Kate nel mirino e un insospettabile quanto disperato puparo a tirargli i fili …
La toccata e fuga nel territorio panamense deve filare liscia l’olio, ma ovviamente, non va così: iniziano i primi contrattempi, i colpi di scena, i ripensamenti (il nervosissimo, ottimo, Lukas Haas), le sparatorie, gli inseguimenti, i narcos … E ad ogni ostacolo il prode pronto a tutto Chris trova una soluzione, sempre efficace, sempre col sinistro orologio a sibilargli velenosamente il trascorrere del tempo. Ce la farà?
E' una storia vecchia, Contraband, pregna di sapori dal gusto antico ma sempre affidabile, che tratta di riscatti, di amicizie (anche - e soprattutto - tradite), di valori familiari da difendere ad ogni costo, di delinquenza, di luoghi e uomini malfamati, di spericolate acrobazie e audaci imprese, di legami pericolosi e connivenze, e di botte. Al centro, sopra sotto, ovunque, s’innalza, incazzata e risoluta, la figura statuaria di Chris, ennesimo antieroe a cui non conviene aggredire gli affetti, perché una volta che il guanto di sfida è stato lanciato, quello non si ferma davanti a niente e nessuno, padrone delle pratiche manuali quanto di quelle intellettive.
E cionondimeno rassicurante, proprio per il suo essere fieramente anacronistica e per nulla innovativa, scelta che si riflette fortunatamente anche sulla messa in scena: spettacolare e concisa, solida, mirata, precisa. Ed in netta controtendenza all’esagitata infinita pletora di pellicole action, indistinguibili l’una dall’altra, tutte effetti speciali digitali e urticante resa estetica sonora da videogame per decelebrati, con le loro sovrabbondanti dosi di iper-violenza sparata a caso e a velocità supersonica che alla fine producono solo confusione e un involontario registro grottesco.
Baltasar Kormákur dimostra mano felice e mente lucida, dirigendo con stile vigoroso, asciutto, concentrato, privo di virtuosismi fini a se stessi ed enfatiche inquadrature, sempre dritto e deciso verso l’obiettivo: raccontare l’avventura di Chris Farraday, offrendo sincero intrattenimento e immediata empatia per i personaggi. Riesce inoltre a dare un ritmo incalzante e coeso, teso, e certamente è da rilevare l’ottima intesa con gli attori come pure il contributo notevole di montaggio - puntuale, incisivo - e della colonna sonora che alterna le musiche originali di Clinton Shorter a pezzi blues, che culminano nel finale con l’impetuosa, selvaggia sfuriata Boom Boom di Big Head Todd And The Monsters feat. John Lee Hooker: impossibile stare fermi.
Decisiva si è rivelata la scelta degli attori. Mark Wahlberg (anche produttore), è granitico, perfetto per la parte, ma la sua presenza scenica non è limitata al solo fisico (bestiale), in quanto è supportato da valide e riconosciute capacità recitative. Il volto inizia ad essere solcato - meglio: scolpito - dai segni del tempo, guadagnando in credibilità e spessore. Una sicurezza. Ma se sul protagonista, appunto, non c’era alcun dubbio, fantastico è il manipolo di comprimari, presi tra i migliori “specialisti”, ognuno col suo bel carico di tratti distintivi che vanno dai tic a movenze tipiche. Volti balordi, assolutamente credibili, capitanati dai bravissimi Giovanni Ribisi e Ben Foster (non ha certo bisogno di presentazioni), a cui si uniscono il giovane Caleb Landry Jones (rossiccio che rimane impresso), Lukas Haas, Diego Luna (divertentissimo il suo truce criminale Gonzalo) e il grande J.K. Simmons, garanzia assoluta. Mentre la pur brava Kate Beckinsale è sacrificata in nome del primitivo spirito virile riversato sull'opera.
Giusto il finale, un po’ stucchevole, rovina l’atmosfera rude e maschia, ma la canzone di chiusura giunge opportuna a distogliere la parziale delusione.
Naturalmente non si può sottacere sulla natura stessa di Contraband, del suo essere cioè un instant remake (di un film comunque poco noto), e pertanto non scevro da tutte le solite critiche destinate a prodotti del genere, però, almeno in questo caso, sia perché non si tratta di un puro blockbuster (è piuttosto nobile serie b) sia perché non ha pretese improponibili e ridicole (come in altri casi quando affermano di non aver visto l’originale e che la loro è una rivisitazione - ovviamente migliore - e non un "volgare" rifacimento).
Dopotutto questo mondo è assai strano: chiunque saprebbe riconoscere una partita di droga, ma quanti un Pollock da 140 milioni di dollari scambiato - e utilizzato - per tutto il tempo per un consunto (e pure bruttarello) tappetino di uno scassato furgone?

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