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Cesare deve morire

Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film

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La recensione su Cesare deve morire

di Kurtisonic
8 stelle

Se l’istinto passionale dell’uomo è una delle basi fondanti dell’espressione artistica, perché non contaminare forme diverse, una nell’altra unite dallo stesso spirito creativo? Cesare deve morire è un film-documentario, è cinema e teatro, nonostante percorra strade già sperimentate ha la forza dirompente di sovvertire gli schemi attuali legati ad una visione cinematografica blindata, in genere portata a spettacolarizzare l’esteriorità semplificando la lettura dei testi. Seguendo le matrici del loro cinema, i fratelli Taviani continuano a descrivere la società, a storicizzarla in alcuni casi, ad elevarne aspetti che si amplificano con ramificazioni che oltrepassano la nostra realtà nazionale, in questo caso con risultati notevoli. Cesare deve morire è un lavoro congegnato con una organizzazione testuale efficace e senza tempo. I Taviani  si sono avvalsi di un gruppo di detenuti del carcere di Rebibbia che coadiuvati dal regista teatrale Fabio Cavalli che interpreta se stesso e che ha al suo attivo analoghe iniziative nel mondo carcerario, preparano la rappresentazione del Cesare di Shakespeare. L’ambientazione è l’interno del carcere, il mondo quotidiano deli attori-detenuti, la lingua è meticcia e contaminata, ogni attore usa il proprio dialetto ottenendo un effetto straniante: dal parlato così particolare e solitario nel contesto recitativo, ne scaturisce l’universalità dei un testo che eleva ogni protagonista a figura umana unica portatrice di valori e di debolezze riconducibili ad una qualsiasi altra parte del mondo. L’interpretazione dei detenuti è trasversale, l’attore recita per uscire da sé per poi ritrovarsi nel testo ed avere la possibilità concreta di fare il punto sulla propria situazione umana, riesce a mantenere quel contatto diretto con lo spettatore davanti ad uno schermo che con quello che direttamente è presente in sala. I registi accomunano la tragicità dell’essere in qualsiasi costrizione ci si trovi già nelle sequenze di apertura, quando i detenuti lasciano il palco scortati dalle guardie, con uno stacco pensiamo di vederli salire le scale esterne, invece ci si accorge che sono gli spettatori che defluiscono metaforicamente verso le proprie gabbie esistenziali. Sfruttando un montaggio decisivo per il ritmo del film, la regia alterna e muove i personaggi dalla scena alla cella, da un momento recitato ad uno reale, da pensieri astratti a gesti concreti, verso parole che riconquistano un significato. Si ribaltano e si confondono attimi di finzione, di rappresentazione e verità, davanti ad una realtà nella quale si rispecchiano indiscutibilmente: la loro casa prigione. Durante la messa in scena finale del dramma teatrale e a spettacolo finito tornano i colori del quotidiano, mentre il racconto creativo di preparazione e di prova è visualizzato in un b/n fortemente contrastato come la caratterizzazione dei personaggi. Attraverso la  recitazione vengono alla luce le caratteristiche dei protagonisti e le loro peculiarità personali, oltre che aspetti del loro passato e la natura dei loro rapporti all’interno del carcere con relative simpatie e frizioni. Cesare deve morire non si traduce in una visione buonista della possibilità di recuperare un individuo che è ai margini della società, è la manifestazione dell’universalità dei conflitti umani che attraverso la mediazione di forme artistiche riconosciute, faccia scoprire a detenuti e non l’esistenza di un mondo diverso, creativo,emozionante, incredibilmente  vicino a quello di tutti i giorni. 

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