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Elles

Regia di Malgorzata Szumowska vedi scheda film

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La recensione su Elles

di OGM
6 stelle

Il fenomeno contemporaneo delle studentesse prostitute – già trattato in Student Services – offre alla regista polacca Malgorzata Szumowska lo spunto per una bizzarra incursione nell’universo femminile. La giornalista  Anne (Juliette Binoche) vuole scrivere un articolo su due ragazze, Charlotte ed Alicja, che, nella Parigi dei giorni nostri, vendono il loro corpo per guadagnarsi da vivere. Frequentandole, ed ascoltando i racconti delle loro esperienze ed i tentativi di esporre le loro ragioni, la protagonista giunge a riflettere sulla propria condizione di donna in un mondo dominato dagli uomini. Ne è circondata in casa, essendo madre di due ragazzi, sui quali non riesce a mantenere del tutto il controllo. Sono due esseri in parte sfuggenti, come lo è il marito, per lo più assente, col quale il dialogo risulta difficile, perché segnato da incomprensioni di fondo. La realtà maschile è fatta di desideri che chiedono pressantemente di essere soddisfatti, e che le donne, mettendo da parte i propri bisogni, si prestano spontaneamente ad esaudire. Questa mansione inizia in cucina, e prosegue nella camera da letto, come le spiega quella giovane polacca che, dal suo primo cliente, ha imparato a preparare il pollo al Riesling. La consapevole assunzione di un ruolo, in virtù di una precisa scelta, improntata al do ut des, esclude l’umiliazione: in quel teatro erotico a pagamento  prevale il senso del servizio, che è il frutto di un chiaro accordo tra le parti. Soltanto fuori da quelle stanze, nella vita vera, ci si può sentire offese, sminuite, sfruttate da chi continuamente pretende senza dare nulla in cambio. Anne si accorge compiaciuta come tra lei e le due intervistate scatti in breve tempo una fanciullesca complicità, alimentata dalle confidenze e dalla reciproca curiosità;  per contro, col figlio adolescente Florent, che marina la scuola, fuma spinelli e fa il misterioso, parlare è praticamente impossibile. Una barriera di incomunicabilità separa, di fatto, i due sessi, che si esprimono in linguaggi diversi, e possono giungere ad intendersi soltanto temporaneamente, in particolari occasioni, sulla base di un codice appositamente convenuto, come quello  esplicito e crudo dell’amore mercenario. Il resto del discorso si perde fra reticenza ed equivoci, nella convinzione che l’altro comunque non possa capire, benché, a ben vedere. esistano momenti in cui tutto potrebbe essere spontaneamente ed integralmente condiviso. L’obiettivo di Szumowska rimane confinato al di qua di quella frontiera invalicabile, dove l’eterno femminino si mette a nudo restando in disparte, a coltivare la propria solitaria e fantasiosa spregiudicatezza. Non c’è allegria, però, in quell’immaginaria libertà, che occupa fugaci scorci di esistenza, consumati in fretta dietro il paravento di una intimità un po’ puerile e visibilmente imbarazzata. Manca il coraggio di essere, con se stesse, sincere fino in fondo, di affermare la propria identità con composta serietà e maturo equilibrio, anziché giocare a scoprirsi quel poco che basta ad attirare l’attenzione della propria interlocutrice, e magari, subito dopo,  riderci sopra  come si fa tra amiche. L’analisi si ferma a metà, forse trattenuta da un innaturale pudore, o forse da un ingiustificato gusto per l’ermetismo, per l’allusione che si pronuncia  a fior di labbra, coprendosi la bocca con la mano.  La voglia di guardarsi dentro è un’aspirazione che sbatacchia le ali anziché spiccare il volo, e che alla fine sembra  addirittura volersi sacrificare inutilmente ad una condiscendenza che equivale, a tutti gli effetti, ad un naufragio. La confessione si chiude prima di essere arrivata a dire qualcosa, ed il confronto si spegne sul nascere.  Il film naviga in acque tiepide e torbide, smuovendo, appena appena, la superficie con la punta delle dita: è una nota di ricercatezza che dona originalità allo stile, ma purtroppo lascia che la sostanza profonda ristagni in un ambiguo silenzio.

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