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Le paludi della morte

Regia di Ami Canaan Mann vedi scheda film

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La recensione su Le paludi della morte

di ROTOTOM
6 stelle

Michael Mann è uno dei più importanti cineasti moderni erede di Friedkin per potenza della messa in scena che ha riscritto l’estetica del cinema metropolitano in una continua ricerca formale del linguaggio cinematografico e della sperimentazione del supporto digitale raggiungendo vette come Manhunter, Heat, Insider e Miami Vice. Texas killing fields, è l’opera seconda di Ami Canaan Mann, figlia d’arte, prodotta dal padre. Il film presentato a Venezia 2011 non ottiene molto riscontro, l’ombra del genitore incombe severa sulla capacità della figlia. Tuttavia Le paludi della morte, questo il titolo italiano, non è affatto da disprezzare nonostante l’originalità non sia il suo forte. Tratto da un romanzo di Don Ferrarone, investigatore che aveva affiancato i veri due detective alle indagini su più di cinquanta omicidi nella zona, è un solido thriller investigativo ambientato nel Texas che si adagia sulla formula ampiamente sfruttata della coppia di sbirri alla caccia di un pericoloso serial killer. Ispirati a fatti realmente accaduti – nella realtà il killer non è mai stato individuato – Le paludi della morte fa del territorio un terzo protagonista insieme a i due detective Sam Wortinghton e Jeffrey Dean Morgan. Ambientazione sporca e polverosa, ulteriormente sgranata da un digitale che nelle scene notturne richiama le sperimentazioni del Michael Mann di Collateral e ancora di più in Miami Vice. La notte evocativa, profonda e frastagliata di flebili luci. Che la figlia abbia attinto dallo stile del padre è evidente, benché non riesca a farsi mai epico la riduzione delle scene d’azione a favore dell’approfondimento psicologico è funzionale a far risaltare il contesto, il vero obiettivo della regista. La provincia dismessa americana, una suburbia violenta annaffiata di alcol e abusata da uno spinto sessismo misogino. Razzismo e polvere. Un abbruttimento che rimane invischiato nell’aria e corrompe gli animi. Poi il nulla, le killing fields, le paludi, luogo infernale che ratifica l’allontanamento totale dalla civiltà, sia geografico che intellettuale. Un luogo mefitico ove gli istinti più bassi possono prendere corpo e spadroneggiare e metafora della condizione psicologica dei due detective costretti in un’indagine macchinosa, in una società ostile. Il contesto sembra uscito da un libro di Joe Lansdale, sublime scrittore della corruzione e del degrado di questi luoghi dimentichi di umanità e rispetto. Tra baracche e sporcizia le vite difficili degli abitanti degenerano in violenza e generano mostri. Ma Lansdale è un’altra cosa, non distoglie lo sguardo. E anche Mann padre è un’altra cosa, impastando le immagini di un senso che va oltre il mostrato riuscendo a toccare le corde profonde dell’animo con la potenza evocativa dello sguardo. Ami Canaan Mann non giunge a tanto, non osa e rimane in superficie. Non affonda le mani nella melma e preferisce un compito facile di investigazione e risoluzione del mistero senza sondare l’oblio come se avesse timore di guardare nell’abisso. E caderci dentro. A livello di scrittura il personaggio di Jessica Chastain, investigatrice ed ex moglie di Jeffrey Dean Morgan viene inspiegabilmente accantonato a metà film dopo averne fatto il perno centrale, mentre la chiave di volta del film Chloe Moretz adolescente difficile di una famiglia disfunzionale seguita dai servizi sociali , viene tenuta al riparo da qualsiasi bruttura nonostante il ruolo. La doppia indagine parallela provoca rallentamenti del racconto e una perdita di tensione narrativa. Texas killing fields si riassume in un più che discreto noir ma senza coraggio così da non turbare più di tanto. Mostra il mostrabile dell’immostrabile, sa di sapere come funzionano le cose nell’America post rurale proletaria lasciata indietro dal progresso ma preferisce accompagnare lo spettatore fuori dai cortili delle baracche ove si compiono atti innominabili. E tutto rimane una supposizione fatta di scambi verbali, sguardi e attesa. Il tutto girato bene, impastato – come da tradizione – in una musica straniante, esposto in qualcosa che – solo- si presume lancinante. Qualcosa che è successo davvero e che non ha mai avuto soluzione. E’ questa la differenza e il difetto principale di questo film. Che dal magma ci si è spostati sulla soluzione, come se questa soluzione lenisse ogni dolore e risolvesse ogni cosa. Non è così e non lo è stato neppure nella realtà.

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