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Il rosso e il blu

Regia di Giuseppe Piccioni vedi scheda film

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La recensione su Il rosso e il blu

di EightAndHalf
4 stelle

Il 2012 è stata l'annata cinematografica delle scuole, dei rapporti generazionali, dei fallimenti degli adulti. Si parte con Detachment - Il distacco, pessimo tentativo di rielaborare il solito pessimismo sulle future generazioni e sulle possibilità di quelle attuali: fra vittimismo e crudeltà politically correct, il film scivolava nella predica più stiracchiata. Si passa poi da Monsieur Lazhar, in cui cambia l'età, la nazionalità, ma non il succo, benché qui siamo di fronte a un film decisamente "carino": qui l'accettazione del diverso passa attraverso il trauma e il confronto, il tutto con un tono abbastanza stucchevole, nonostante la sincerità. E si arriva, dopo America e Francia, in Italia, con il piccioniano Il rosso e il blu, il quale risente innanzitutto di una regia al limite con il patinato, incapace di osare, pulita e priva di sfumature, come tutti i personaggi. Tutti e tre i film parlano di supplenti con difficoltà, tutti e tre incarnano questo nuovo genere modaiolo, tutti e tre tentano un ardito bis del mastodontico e recente modello, Entre les murs di Cantet.
Il film di Giuseppe Piccioni pecca in didascalismo: sembra un'opera a tesi, con argomentazioni narrative disposte qui e lì con freschezza ma senza reale convinzione. L'intento è di raccontare l'insegnamento e la speranza insita in quest'attività, attraverso tre punti di vista (rispettivamente Scamarcio, Herlitzka e la Buy), che si alternano, e che vedono tre schematiche storie parallele su alternative ai trasnfer, l'innamoramento o semplicemente l'affezione nei confronti di un proprio superiore, normalmente nei confronti del proprio psicologo, in questo caso nei confronti dei propri professori. Indeciso fra macchiette e personaggi a tutto tondo, Piccioni estende la trama anche a un diligente ragazzo rumeno che con una ragazza, trafficante di merce di vario genere, cerca di derubare il suo stesso padre, benzinaio. 
Se quest'ultima parentesi vuole essere una paradossale riflessione sul valore della cultura e sulle difficoltà post-immigrazione (e si riduce in effetti a una parodia mal fatta della storia adolescenziale interna ad American Beauty di Mendes, con tanto di riprese e innamoramento), gli altri tre snodi principali accumulano fin troppo, da superficiali richiami di Leopardi (la prima scuola cinematografica in cui si fa il "vero" programma scolastico, ecco un merito!) a vari riferimenti a tematiche classiciste, dall'amore paideutico, all'Odissea con il mancato riconoscimento della storia di Herlitzka, dal semi-patricidio del ragazzo rumeno, fino alla sindrome di Elettra del ragazzo strambo con la neo-madre Margherita Buy: tutti accorgimenti volti a rendere "funzionale" la cultura nella vita di ogni giorno (la ragazza che urla: "Tanto non serve a nulla!" viene precisamente confutata). Il film finisce per sembrare però proprio l'elaborazione di un liceale, che certo non manca di sincerità, ma che manca sicuramente di una vera presa di posizione, in conflitto continuo tra approfondimento psicologico e storiella da bar, tra seriosità e ilarità. Così le evoluzioni psicologiche si concludono rassicuranti in tutti i casi, e lo spettatore può uscire con un amaro in bocca ben temperato dalla consapevolezza della "correttezza didattica" mostrata dalla pellicola.
Tra gli attori, tutti smorti (Scamarcio) o sopra le righe (la Buy) sopravvive solo Herlitzka, incarnazione del "filosofo che ha accumulato troppo sapere e ha perso la fantasia (dell'insegnamento)" come direbbe Leopardi o un Romantico ottocentesco.
Quando infine nell'ultima sequenza si inquadra una classe (s)vuota(ta), e le sedie stanno nel loro giusto ordine (non c'è l'Apocalisse di Detachment), Piccioni tradisce il celato riferimento al modello, il film di Cantet, e fallisce miseramente di fronte ai colpi di un capolavoro: qui è una semplice conclusione, lì era uno sguardo agghiacciato e anti-spettacolare sull'inerzia e l'indifferenza di fronte al Caos dell'arbitrarietà. 
Debole ed edificante, il lato meno forte del cinema italiano "impegnato".

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