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I più grandi di tutti

Regia di Carlo Virzì vedi scheda film

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La recensione su I più grandi di tutti

di mc 5
8 stelle

D'accordo. Questo è un piccolo film senza pretese. Di quelli che tempo due o tre settimane e non resteranno tracce. E questo a prescindere dal giudizio critico. Ma, cristo santo, non se ne può sballottare la distribuzione come è accaduto dalle mie parti e -suppongo- non solo nella mia Emilia. Sono infatti a conoscenza di almeno 3 multisale che ne avevano in programma la proiezione nello scorso weekend ma che -all'ultimissimo minuto- ne hanno annullato la programmazione. E posso aggiungere che in due dei casi cui faccio riferimento sui rispettivi siti web il film veniva dato regolarmente in programmazione e solo il giorno dopo la situazione veniva aggiornata. Cosa sia successo io non posso certo saperlo, ma un'idea me la sono fatta. Scartando l'ipotesi di bizzarre manovre della potente distributrice Eagle, la sola possibilità è che gli esercenti si siano chiamati fuori in extremis spaventati da un probabile flop. Cari signori esercenti, voi accogliete la proiezione di tante di quelle puttanate, e non ve ne faccio una colpa, dopotutto è il mercato...e conosco le vostre difficoltà, per cui capisco che siete ridotti a sperare nell'ultima minchiata purchè sia in 3D, oppure a puntare tutto sull'ultimo scimunito promosso da Zelig, ma vi prego, non accanitevi su chi non se lo merita e chi, come Carlo Virzì, ha avuto la dignità di confezionare un filmetto curioso, simpatico e anche un po' malinconico. Signori esercenti, ancora un'ultima cosa e poi vi lascio lavorare. Forse è chiedervi troppo, ma non lo sentite un po' d'orgoglio per il supporto che date (o potreste dare) al cinema italiano? D'accordo, lo so che quest'anno è mancato il vostro benefattore e protettore "San Checco Zalone da Zelig" e dunque avete dovuto puntare su Cage motociclista che piscia fuoco e fiamme, su Julia Roberts che fa le facce o sui Titani che "se menano de brutto"...ma -cristo- per una volta che esce un film italiano che non è la solita solfa vanziniana/brizziana, voi me lo trattate in questo modo?? Chiedo scusa per lo sfogo, ma ho il dente avvelenato anche perchè per vedere questo film cui tenevo particolarmente (e fra poco spiegherò il perchè) ho dovuto fare i salti mortali, pur vivendo in una zona servita da almeno due multisale. E mi fermo qui, perchè volendo poi sfiorare un altro aspetto dolente, potrei accennare a quei gestori di multisale che hanno rifiutato di ospitare "Diaz" e "Romanzo di una strage". Ma su questo ritornerò in una prossima occasione. Adesso che mi sto per addentrare nel giudizio critico, dimostrerò che la mia valutazione non è affatto entusiasta senza riserve, anzi io la definirei alquanto controversa. Ci sono alcune premesse che ritengo necessarie, legate al soggetto del film. La pellicola parla delle vicende di un gruppo rock italiano di qualche anno fa che ai giorni nostri trova l'occasione per una inaspettata reunion. Ciò detto, è evidente che non tutto il pubblico (vuoi per età, vuoi per attitudini) è interessato ai retroscena e alle tematiche di un "complessino" (come qualche anziano ancora li chiama). E allora distinguiamo tra coloro che vedranno il film nell'ottica di una ordinaria commedia italiana che parla di ragazzi che fanno musica, e chi invece (come il sottoscritto) ne ha seguito la visione con l'occhio smaliziato di chi già si intende di "cose di rock'n'roll". Certo, è ovvio che per un pubblico rockettaro il film è più sfizioso, anche perchè diciamo che si sporca le mani affondandole nella "materia"del rock, sfrucugliando e satireggiando, a volte con effetti esilaranti, altre ripiegando su una vena forse un po' retorica. E qui mi tocca affrontare una seconda premessa. E dico "mi tocca" perchè non posso fare a meno di collegarmi a (lontane, ahimè) esperienze personali che mi hanno peraltro segnato piacevolmente. Il regista del film Carlo Virzi (notoriamente fratello del più celebre Paolo) è al suo secondo lungometraggio ma lui, in realtà ha un lungo passato di militanza "chitarristica" nel gruppo livornese degli Snaporaz. Si trattava di un gruppo valido e molto interessante (peraltro sciolto ormai da svariati anni) che ebbi modo di vedere dal vivo circa una decina di volte, il che mi diede l'occasione di conoscere lo stesso Carlo e soprattutto il batterista Toto Barbato (che appare in un piccolo ruolo anche in questo film). Mi piace l'dea che Carlo, che nel frattempo si è poi dedicato a tempo pieno solo al cinema, abbia deciso di girare un film attingendo a quell'universo fatto di soundcheck, piccoli club, furgoni, tournèè, scazzi, spinelli e quant'altro. Mi sono sono divertito a ritrovare quel mondo, e a vederlo attraverso uno sguardo così irresistibilmente ironico e consapevole. Tuttavia non posso nascondere (e nascondermi) una vaga delusione, probabilmente percepibile solo da chi ha frequentato luoghi e persone che appartangano al mondo del rock indipendente. Diciamo che sono stato spiazzato da un dettaglio. Gli Snaporaz, dove Carlo era chitarra e voce, erano molto diversi dai Pluto, cioè il gruppo immaginario sulle cui vicende il film è imperniato. Quasi due pianeti differenti. Anche se va detto che gli Snaporaz operarono in un contesto musicale e sociopolitico assai diverso da quello odierno. Però, ugualmente, qualcosa non mi quadra. Musicalmente parlando, chi si intende un po' di rock indipendente, converrà col sottoscritto che questi Pluto hanno parentele strette con l'universo hard rock, un cosmo che presenta caratteristiche piuttosto diverse rispetto alla scena indipendente, per cultura ed attitudini. Anzi, aggiungerei che la musica che fanno (come è riscontrabile nelle sequenze live presenti nel film) è un incrocio tra l'hard rock classico e certi "polpettoni" alla Vasco Rossi (il quale non a caso appare in un cameo finale di mezzo secondo). Volendo essere ancora più pignoli, si potrebbe aggiungere ai due filoni citati (l'hard e le schitarrate burine alla Steve Rogers Band) anche un cantato alla Eddie Vedder che per fortuna impreziosisce un'immagine generale decisamente troppo tamarra. E il rockaccione pesante dei Pluto, così simile nei riff di chitarra a certi pezzi di Vasco, mi lascia perplesso soprattutto se penso al gruppo raffinato e a suo modo poetico che erano gli Snaporaz. Quanto alla trama, è molto semplice e forse anche per questo piuttosto esposta al rischio di stereotipi e luoghi comuni, che infatti si riscontrano nel corso della visione, seppur smussati e corretti da un approccio che privilegia la simpatia e l'umanità dei ruoli; in altri termini: i personaggi a volte fanno una tenerezza tale che che si finisce col perdonare agli autori del film certe ingenuità. In sintesi, si parla di un gruppo che aveva appeso al chiodo gli strumenti e viene chiamato ad una reunion, prendendo a pretesto un documentario progettato da un loro facoltoso fan che vuole intervistarli e contribuire a a riportarli su di un palco. Con tutti gli annessi e connessi piuttosto prevedibili, a partire dagli scazzi tra i componenti. Va detto, a merito di Virzì, che è apprezzabile la scelta di aver voluto evidenziare l'aspetto concreto del quotidiano dei suddetti musicisti, mettendone a fuoco i problemi famigliari ed economici, in modo da restituirci delle persone che vivono di bollette da pagare e di figli da accompagnare a scuola. E allora lo spettatore può perfino riconoscersi in persone vulnerabili e soggette a debolezze e paure, anzichè rockers coriacei che vivono un sogno di cartapesta. E veniamo ad un cast tutto sommato interessante, senza essere niente di speciale. Alessandro Roja è molto bravo nel suo ruolo (a tratti quasi fantozziano) di persona buona e gentile a cui non par vero di poter aprire nella propria vita scolorita e grigia questa parentesi eccitante. Lui interpreta il batterista del gruppo e, per inciso, lo rivedremo molto presto nel cast dell'atteso "Diaz" di Daniele Vicari. Ad impersonare sua moglie una delle giovani attrici italiane più interessanti del momento: Claudia Potenza, che in questi giorni è sugli schermi anche con "Magnifica presenza" di Ozpetek e il cui viso io trovo sia di una bellezza disarmante. Marco Cocci è esattamente come appare: un grandissimo ed irriducibile narciso (lui è davvero un cantante rock, molto ispirato a Eddie Vedder ...e narciso come lo sono tutti i frontmen). Claudia Pandolfi è una sorpresa. Io penso che solo Carlo Virzì avrebbe potuto affidarle un ruolo così diverso da tutti gli altri finora da lei interpretati; eppure "questa" Pandolfi (pur bella come sempre) che suona il basso con posture da maschiaccio, funziona proprio bene. Due parole in più per Corrado Fortuna, un attore siciliano che adoro. Corrado è bravo e simpatico e l'imprinting che affettuosamente conservo di lui risale al suo debutto (targato Paolo Virzì) nel sottovalutato "My name is Tanino". E concludo con un burbero Dario Cappanera, che interpreta praticamente sè stesso, un hard rocker che vive in simbiosi con la sua chitarra. Un film modesto ma comunque dignitoso, che presta il fianco a diverse critiche ma che ha il merito di esibire una leggerezza ed un'ironia tali da impedirgli di apparire pretenzioso. E poi, vivaddio, un film italiano decisamente diverso da tutti gli altri che abbiamo visto finora.


Voto: 7/8

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