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Cut

Regia di Amir Naderi vedi scheda film

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Badu D Shinya Lynch

Badu D Shinya Lynch

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La recensione su Cut

di Badu D Shinya Lynch
8 stelle


Filosofia cinefila


"Il Cinema in quanto arte sta morendo. Chi fa film ad altissimo budget, chi fa film superficiali, sta ammazzando il Cinema! Le Multisale hanno preso il sopravvento. Riprendiamoci il Cinema, togliamolo a quegli assetati di denaro. Dobbiamo riportare in vita il vero Cinema! Perché ciò accada, dovete guardare dei veri film. In passato il Cinema era sia arte che intrattenimento. Prima eravamo capaci di fare Cinema di qualità, non ve lo dimenticate. Diamoci da fare! Oggi i cinema multisala soddisfano solo l'intrattenimento più triviale. E' giusto che ci siano anche film d'intrattenimento, ma non dobbiamo perdere l'occasione di guardare film di qualità. Non dobbiamo dimenticarli. Il vero Cinema non si basa sul denaro. Il vero cinema è fatto di carne e ossa e mostra immagini vere, non false. Ci sono ancora registi che sanno fare il loro lavoro, che sanno bene cosa sia il cinema di qualità, esistono in tutto il mondo. Andate al cinema a vedere i loro film. Vi prego! Troverete verità, arte e persino vero intrattenimento. Sostenete i registi andando a vedere i veri film! Vi prego, guardate di nuovo i vecchi film. Aiutateci a riportare in vita il vero cinema! Ill cinema, così come noi, dev'essere libero di girare per il mondo! Il vero cinema dovrebbe essere libero. Così dovrebbe essere."
- Shinji/Naderi -

The Passion of Amir Naderi. Cut è un atto di fede verso la settima arte; una coraggiosa e fluviale dichiarazione d'amore per il Cinema. Shiju è ossessionato da tutto ciò che concerne l'universo cinematografico, tanto che questa viscerale fissazione non risulta solo una passione o un tormento, ma si palesa come la sua unica e vera ragione di vita: è disposto a tutto pur di mantenere "in piedi" il suo obiettivo, pur di proteggere ciò per cui si (fa) (ab)batte(re). Il Cinema, per il protagonista (e per Naderi), diventa il tramite pulsante e tangibile per sentirsi ancora vivo - Shiju per resistere alla botte prese, pronuncia vari titoli di film, come se questi in qualche modo lo ricaricassero, quasi come esorcizzassero le sue paure e le sue debolezze, e riuscisse ad andare oltre, a trascendersi; straordinarie le sequenze in cui, tumefatto e lacerato per via dei colpi subiti, le pellicole vengono proiettate sulla sua pelle, o meglio, nella sua carne, come fossero l'unica e vera cura possibile, una sorta di panacea filmica - e, soprattutto, per oltrepassare i propri limiti e infrangere ogni tipo di barriera vitale e sociale; un modo quindi per superare se stesso, per mettersi alla prova, così da potersi elevare e non lasciarsi bloccare e intrappolare da qualsivoglia confine - si potrebbe fare un parallelismo forzato con la poetica tsukamotiana -. Cut è l'urlo speranzoso e rabbioso di Naderi verso il pubblico, i registi, i produttori e il Cinema: il filmmaker iraniano, tramite il personaggio del film, non si fa solo portavoce di un'idea ben precisa su cosa sia veramente la settima arte, ma si trasforma in un Cristo moderno che con il suo martirio cinefilo è destinato a smuovere le coscienze e i sentimenti dello spettatore, di chi guarda. Shuji/Amir è incrollabile, non si vende, percorre la sua strada senza accettare compromessi, senza mai vendersi, pur di mantenere incorrotti i propri ideali: ed è proprio grazie alla sua inesorabile passione che arriverà a saldare ogni debito senza mai "prostituirsi", senza mai corrompere la sua persona, la sua arte. Cut non è una spavalda e ostentata manifestazione cinefila, ma è un originale e commosso modo di elargire il proprio amore verso il Cinema, un inno epocale dedicato ad esso: un gesto potente e puro che mira a comunicare in maniera diretta con il pubblico, che cerca di spalancare gli eyes wide wide shut (della mente) dello spettatore, e ridare onore e rispettabilità al Cinema. Un film che vuole imporsi, che spera di essere un punto di svolta e di rottura: Cut è sia un film "ultimo" e definitivo - che vorrebbe chiudere le porte di quella cinematografia scadente, relativa ai blockbuster, alle pellicole da multisala -, che un lungometraggio "primo" ed insorgente - che rinasce dalle proprie ceneri cinematografiche, sotto forma di inesorabile e disarmante discorso introduttivo e nostalgico che auspica di spronare l'interesse addormentato di tutti i cinefili, cosicché si possa tornare alla meraviglia del Cinema di qualità, dando ad esso la dignità andata perduta -. Cut, in un certo senso, comincia dove finisce Goodbye Dragon Inn: la pellicola di Naderi, emerge dall'abisso filmico di Tsai Ming-liang, spastandosi da uno spettrale e silenzioso fine nostalgico, verso un fisico e vociante scopo stimolante. Lo spettatore, verso la fine, viene preso a pugni affinché possa sentire sulla propria pelle il dolore e il peso di 100 film e del loro valore inestimabile, sperando che questi non vengano dimenticati e sepolti nella memoria passata, ma piuttosto riscoperti e rievocati per cercare di infondere una nuova luce a questo superficiale ed anestetizzante presente cinematografico. Queste opere sono la totale e totalizzante dimostrazione d'amore che il regista iraniano riserva e riversa verso la settima arte. 100 pugni diretti:

#100
- "Welfare" (1975), di Frederick Wiseman
- "The Burmese Harp" (1956), di Kon Ichikawa
- "Knife in the Water" (1962), di Roman Polanski
- "Raise the Red Lantern" (1991), di Zhang Yimou
- "The Wind" (1928), di Victor Sjostrom
- "Pixote" (1981), di Hector Babenco
- "Fat City" (1972), di John Huston
- "Closely Observed Trains" (1966), di Jiri Menzel
- "La Terra Trema" (1948), di Luchino Visconti
- "Hoop Dreams" (1994), di Steve James

#90
- "Peeping Tom" (1960), di Michael Powell
- "Dekalog" (1989 - 1990), di Krzysztof Kie?lowski
- "Kwaidan" (1964) , di Masaki Kobayashi
- "The Up Documentaries" (1985), di Michael Apted
- "Fireworks" (1997), di Takeshi Kitano
- "The Conversation" (1974), di Francis Ford Coppola
- "Oya" (1929), di Hiroshi Shimizu
- "The Night of the Hunter" (1955), di Charles Laughton
- "Stranger Than Paradise" (1984), di Jim Jarmusch
- "Quince Tree of the Sun" (1992), di Victor Erice

#80
- "Eraserhead" (1977), di David Lynch
- "Le Quai des Brumes" (1938), di Marcel Carné
- "Salvatore Giuliano" (1962), di Francesco Rosi
- "Time of the Gypsies" (1988), di Emir Kusturica
- "The Bohemian Life" (1992), di Aki Kaurismaki
- "The Round-Up" (1966), di Miclos Jancso
- "Der Stand der Dinge" (1982), di Wim Wenders
- "La Strada" (1954), di Federico Fellini
- "The Hole" (1998), di Tsai Ming-liang
- "Nashville" (1975), di Robert Altman

#70
- "Vivre Sa Vie" (1962), di Jean-Luc Godard
- "Manila in the Claws of Neon" (1975), di Lino Brocka
- "Fitzcarraldo" (1982), di Werner Herzog
- "Peppermint Candy" (1999), di Lee Chang-dong
- "Xala" (1975), di Ousmane Sembène
- "Blissfully Yours" (2002), di Apichatpong Weerasethakul
- "Sur" (1988), di Fernando Solanas
- "Antonio das Mortes" (1969), di Clauber Rocha
- "La Belle Noiseuse" (1991), di Jacques Rivette
- "Vertigo" (1958), di Alfred Hitchcock

#60
- "Man with a Movie Camera" (1929), di Dziga Vertov
- "Shock Corridor" (1963), di Samuel Fuller
- "One Flew Over the Cuckoo's Nest" (1975), di Milos Forman
- "Red River" (1948), di Howard Hawks
- "Van Gogh" (1991), di Maurice Pialat
- "The Travelling Players" (1975), di Theo Angelopoulos
- "The Battle of Algiers" (1966), di Gillo Pontecorvo
- "Lola Montes" (1955), di Max Ophuls
- "Throw Away Your Books, Rally in the Streets" (1971), di Shuji Terayama
- "Satantango" (1994), di Béla Tarr

#50
- "A Time to Live and a Time to Die" (1986), di Hou Hsiao-hsien
- "Boy" (1969), di Nagisa Oshima
- "Floating Clouds" (1955), di Mikio Naruse
- "Ali: Fear Eats the Soul" (1974), di Rainer Werner Fassbinder
- "Briganti" (1996), di Otar Iossellani
- "Accattone" (1961), di Pier Paolo Pasolini
- "The Ballad of Narayama" (1983), di Shohei Imamura
- "Bicycle Thieves" (1948), di Vittorio De Sica
- "Johnny Guitar" (1954), di Nicholas Ray
- "The Naked Island" (1960), di Kaneto Shindo

#40
- "The Killing of a Chinese Bookie" (1976), di John Cassavetes
- "L'eclisse" (1962), di Michelangelo Antonioni
- "Paths of Glory" (1957), di Stanley Kubrick
- "Woman in the Dunes" (1964), di Hiroshi Teshigawara
- "Close Up" (1990), di Abbas Kiarostami
- "Sunset Boulevard" (1950), di Billy Wilder
- "L'albero Degli Zoccoli" (1978), di Ermanno Olmi
- "The Catch" (1983), di Shinji Somai
- "Le Samourai" (1967), di Jean-Pierre Melville
- "Kes" (1969), di Ken Loach
- "A Simple Event" (1973), di Sohrab Shahid-Saless
- "L'enfant Sauvage" (1970), di François Truffaut
- "Raging Bull" (1980), di Martin Scorsese

#30
- "Rashomon" (1950), di Akira Kurosawa
- "M" (1931), di Fritz Lang
- "Wild Strawberries" (1957), di Ingmar Bergman
- "La Grande Illusion" (1937), di Jean Renoir
- "Virdinia" (1961), di Luis Bunuel
- "The Third Man" (1949), di Carol Reed
- "Detour" (1945), di Edgar G. Ulmer

#20
- "Play Time" (1967), di Jacques Tati
- "Intolerance" (1916), di D.W. Griffith
- "Greed" (1924), di Eric von Stroheim
- "Paisà" (1946), di Roberto Rossellini
- "Tokyo Story" (1953), di Yasujiro Ozu
- "Nanook of the North" (1922), di Robert Flaherty
- "Andrej Rublev" (1966), di Andrej Tarkovskij
- "City Lights" (1931), di Charles Chaplin
- "Mouchette" (1967), di Robert Bresson
- "The General" (1926), di Buster Keaton
- "The Passion of Joan of Arc" (1928), di Carl Dreyer

#12
- "The Apu Trilogy" (1955, 56, 58), di Satyajit Ray

#11
- "Batlleship Potemkin" (1925), di Sergei Eisenstein


Il Cinema non è una puttana. Il Cinema è arte.


#10
- "2001: A Space Odissey" (1968), di Stanley Kubrick

#9
- "Late Spring" (1949), di Yasujiro Ozu

#8
- "The Searchers" (1956), di John Ford

#7
- "Sunrise" (1927), di F.W. Murnau

#6
- "Throne of Blood" (1957), di Akira Kurosawa

#5
- "A Trip to the Moon" (1902), di George Méliès

#4
- "L'atalante" (1934), di Jean Vigo

#3
- "Ugetsu Monogatari" (1953), di Kenji Mizoguchi

#2
- "" (1963), di Federico Fellini

#1
- "CITIZEN KANE" (1941), di Orson Welles
[Rosebud scene: http://www.youtube.com/watch?v=LZOzk7T93wE]


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