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Albert Nobbs

Regia di Rodrigo Garcia vedi scheda film

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La recensione su Albert Nobbs

di PompiereFI
6 stelle

Per Mia Wasikowska l’imprevedibile è sempre dietro l’angolo. Se un paio di anni fa ha avuto a che fare con i bizzarri personaggi digitali e fiabeschi nell’ “Alice” di Burton, l’anno scorso è stata la volta della coppia lesbica che prima la tira poi la molla ne “I ragazzi stanno bene”, mentre quest’anno è giunta l’ora del travestitismo ai piani alti del Morrison’s Hotel, quelli destinati alla servitù.
Siamo nella Dublino di fine Ottocento e i maggiordomi del Morrison sono composti da giovani e meno giovani. Il Sig. Albert Nobbs è tra quest’ultimi, sempre ligio e particolarmente dedito ai bisogni degli avventori, come se vivesse in una specie di rigorosa e devota “trance di servizio”. Raccoglie le mance in piccoli rotoli cartacei, unica via di fuga allo stato di detenzione nel quale si è rinchiuso, nascondendoli sotto al pavimento di camera sua.
Albert ha dei pensieri: celare il fatto di essere in realtà una donna (che, come tale, avrebbe avuto maggiori difficoltà a destreggiarsi nel cercare un lavoro nell’età vittoriana) e la necessità di mettere da parte molti soldi per uno scopo segreto. Il concetto dell’identità sessuale, con tutto un bagaglio di perplessità che si accumulano via via che l’individualità si (con)fonde fino a perdere la bussola, è al centro di questa diligente pellicola.

Per Nobbs è molto più facile svolgere il proprio lavoro camuffando la sua vera anima che presenziare a un ballo in maschera dove gli uomini possono per una sera diventar donne e viceversa. E per lui, senza poter aprire quel bustino che ne soffoca il torace, è una sofferenza evidente. Un avvilimento che nel primo tempo è ben evidenziato dal clima nel quale il regista Garcìa relega il cameriere “tutto d’un pezzo”.

 

Inizio cinematografico difficile questo del 2012, con opere fino a qui pressoché dimenticabili e mediocri, anche questa non sfugge a una certa improvvisata sciatteria che  la fa cadere in un vortice inevitabile di facili tornaconti. Come tutta la parte dedicata alla corte nei confronti del personaggio della Wasikowska, o come le parentesi consacrate ai sogni non omologati di Albert, improvvisamente bisognoso di una vita propria dopo un’esistenza inaridita sentimentalmente anche da un bruttissimo episodio legato alla prima giovinezza.

 

In tutto questo tourbillon che prende svelto il via per irrigidirsi quasi subito, si avverte molto poco di un confronto con la morale, col senso di indigenza del periodo e con una classe borghese un po’ troppo sfuggente che si esibisce tra le camere e i salottini dell’albergo. Quando la condizione esistenziale dell’Albert Nobbs donna si fa terminale, il film inciampa, pasticciando su quelle opportunità che la storia avrebbe offerto per mettere a segno un’ultima stoccata viscerale.

 

Glenn Close, attrice dal fascino enigmatico che già 30 anni fa vestì a teatro i panni di Nobbs, eccede in un “effetto stoccafisso”, lineamenti cocciuti sottolineati dal trucco, che sa un po’ di maniera. Nonostante gli adiacenti impegni produttivi e di scrittura (la Close è co-produttrice e co-sceneggiatrice), la pellicola risulta interessante quando in scena c’è la figura eccitante dell’imbianchino: il decoratore d’ambienti dipinge di divertite pagine colorate molte inquadrature, ne esalta i loro piccoli contenuti da commedia e stempera in gesti semplici e pur tuttavia devastanti i freni inibitori dettati dalle classi sociali dell’epoca.

 

Alla fine ci si ritrova in modo un po’ effettistico e casuale nel cortile dell’hotel, tra i panni stesi battuti dal vento. Da quale direzione arrivino queste raffiche, e che senso diano alla storia (rappresentano la sepoltura di Albert o la sua aggiornata rinascita?), restano punti interrogativi grigi e un po’ temerari.

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