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Hugo Cabret

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su Hugo Cabret

di PompiereFI
6 stelle

“Hugo Calibré” (Cabret, nel titolo serio) è l’ultima fatica cinematografica di Martin Scorsese. Un autore che non è sceso quasi mai a compromessi con la sua arte, mettendo tutto se’ stesso all’interno di opere spesso scomode, radicali, intime, romantiche, violente e/o fortemente politiche e sociologiche. Stavolta lo spunto è il racconto illustrato di Brian Selznick (il cognome non vi giunga nuovo, dato che si tratta del nipote del ben più noto produttore e sceneggiatore David) e la storia è quella di un orfano dodicenne (Hugo Cabret, appunto) che vive nella stazione di Montparnasse nella Parigi degli anni ’30, ricostruita da Ferretti/Lo Schiavo prendendo in prestito gli esterni della Gare du Nord e l’orologio della Gare d’Orsay.

 

Perché, or dunque, sfregiare la pronuncia e il significato del bel titolo originale per trarre informali considerazioni? Perché per guadagnarsi una promozione a tutto campo nel desolato panorama odierno della cinematografia ci si aspetta sempre qualcosa di inedito e coraggioso, soprattutto dal regista italoamericano. Il quale invece si è qui adagiato su una soluzione di comodo, prendendo in prestito le meraviglie suscitate dalla nascita della settima arte, mescolandole con le moderne e fantastiche soluzioni tecnologiche, per dar luogo a “fantastiglie” buone per tutti i palati.

 

Si va dai tipici (ed ebeti) risvolti d’infanzia tutti spielberghiani alle ruberie perpetrate ai romanzi sociali di Dickens, fino ad approdare a una celebrazione tutta cinéphile (e quindi sulla carta incontestabile e promossa perdutamente da critici entusiasti) sull’operato e sull’importanza avuta da Georges Méliès nell’ambito del montaggio, degli effetti speciali e dell’uso della fotografia durante gli albori delle incantevoli lanterne magiche.

Trattasi di omaggio tenero e nostalgico? Macchè. Martin guarda indietro perché non sa cos’altro mostrare ai nipoti. E maschera col digitale le ovvietà che terranno alla larga l’interesse dei più giovani (Méliès, chi era costui? E quell’uomo appeso nel vuoto, incollato alle lancette dell’orologio, fa tanto ridere ma nessuno andrà a cercare il suo nome) e daranno l’illusione alla maggior parte degli spettatori (e in questo Martin è proprio un mago) di aver partecipato a una specie di pregevole cineforum a far pace con la propria radicata ignoranza e terminale pigrizia.

 

Solitamente amo il lavoro di Scorsese, e in parte l’ho apprezzato anche qui. La regia è più che dignitosa nel tentativo di tener desto un interesse che svolazza fra i minacciosi ingranaggi che fagocitano l’infanzia di Hugo e fra i recessi mentali di un Pioniere che ha rinunciato a una parte di se’. E non posso fare a meno di indicare il sottilissimo lavoro interpretativo di un Ben Kingsley stratosferico nel ruolo del negoziante di giocattoli, e di un sorprendente Sacha Baron Cohen, il poliziotto della stazione che osteggia a più riprese il quieto vivere del ragazzino.

 

Speriamo che parta presto un treno che lasci questa stazione misurata, che si allontani da qui per un posto nuovo dove girare cinema vero, senza quei congegni meccanici che lo hanno raggelato; un convoglio che abbandoni questi binari pedagogici e ruffiani, e che trovi un luogo di ispirazione (lontano quanto la Luna?) veramente sconvolgente come lo sono state le invenzioni di Méliès.

L’amore a 360° dimostrato ripetutamente da Scorsese nei confronti del cinema non può essere andato completamente perduto: lo dimostrano i “viaggi” documentaristici nella produzione americana e italiana, i contributi al restauro di opere altrimenti dimenticate e smarrite, la pura nostalgia per quegli autori/cantanti/personaggi un po’ al di fuori del cerchio del mainstream. Adesso, quello stesso ambito che ieri snobbava i suoi capolavori, gli assegna numerose candidature ai premi Oscar. Tutte meritate dal loro punto di vista, considerando il valore transitorio che ha raggiunto oggi questo premio. Peccato che il punteggio aggiornato non lasci scampo: Star System 11 – Poetica d’autore 0.

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