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Una famiglia all'improvviso

Regia di Alex Kurtzman vedi scheda film

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La recensione su Una famiglia all'improvviso

di M Valdemar
6 stelle

People Like Us (titolo italiano: Una famiglia all'improvviso),ovvero: il film che non ti aspetti da Alex Kurtzman per il suo debutto alla regia.
In qualità di sceneggiatore, produttore e creatore di serie tv ha messo mano, in coppia con Roberto Orci, ad un’impressionante assortimento di prodotti che hanno ottenuto grandi consensi di pubblico. Soprattutto, sia che si tratti di piccolo schermo (Alias; Fringe; Hawaii 5.0) che di quello grande (i primi due Transformers di Michael Bay; The Island; Mission: Impossible III; il reboot di Star TrekCowboys & Aliens; The Legend of Zorro) sono tutti caratterizzati da alto tasso di spettacolarità - con massicce dosi di action, effetti speciali e psicologia spicciola - ed accomunati da grosse aspettative - quasi sempre rispettate - al box office. Dai titoli di cui sopra, inoltre, si nota subito la lunga e fortunata collaborazione col “prodigio” J.J. Abrams, destinata certamente a proseguire (è dato in uscita per maggio 2013 il sequel di Star Trek).
Ebbene, con quest’opera siamo in altri territori da quelli battuti finora: non è un blockbuster né tanto meno ha le ambizioni di un bene di largo consumo. E’ piuttosto - e qui sta la gradita sorpresa - un lavoro dai tratti e dai contorni intimisti, che mette in scena le complessità dei rapporti familiari, tra rivelazioni che possono scatenare effetti imprevedibili ed eventi che possono generare mutamenti di prospettive ed accelerare i “normali” processi di maturazione.
Sebbene la trama non particolarmente originale - ed ancorché sia “ispirata ad una storia vera” (come precisa la didascalia in apertura) - possa puzzare di stantio ed abusato o richiamare le più modeste e moleste produzioni sentimentali televisive di fascia pomeridiana, il racconto appare sincero e curato, privo altresì di quei meschini meccanismi ricattatori che ricercano la lacrima facile e la commozione (cerebrale in primis) a tutti i costi.
Il percorso che compie il protagonista, Sam (cui presta il volto il non eccelso Chris Pine), costituito da tappe magari affrontate in maniera abbastanza convenzionale ed a tratti prevedibile, è ben strutturato e credibile. Da un lato il medesimo si trova a dover fare i conti con inaspettati impedimenti - economici ma anche penali - in ambito lavorativo, dall’altro il ritorno (per nulla voluto) a casa per il funerale del padre verso cui ha maturato rancore e lontananza irreversibili, rivenienti dal comportamento distante e poco incline all’affetto del genitore. Come non bastasse, tra i “lasciti” del padre vi è un beauty case contenente centocinquantamila dollari in contanti. Poche parole su una lettera buttata lì in mezzo ai rotoli di banconote accartocciati rivelano un nome, il destinatario della somma. Sconosciuto.
Da questo momento esatto parte il personale, complicato processo di evoluzione di Sam: la scoperta di avere una sorellastra, Frankie (incasinata quanto e più di lui e con figlio sveglio ma ribelle a carico), di cui nemmeno sospettava l’esistenza, apre squarci profondi nella sua frenetica - per quanto “immobile” - ed egoistica vita. Gli ostacoli saranno molti, e le verità appurate ancora più sconcertanti man mano che si dipana la matassa: non solo la doppia famiglia del padre, ma anche il ruolo decisivo avuto nella vicenda della madre. In tutto ciò i tentativi di avvicinamento a Frankie e al nipote, se dapprima sono mossi da semplice curiosità ed intenti poco nobili (i soldi servirebbero, e molto, anche a lui), con la maggior conoscenza della sorella e dei suoi problemi - economici; la sua natura di ex alcolista; la condotta indisciplinata del figlio; il lavoro poco gratificante - lo conducono verso un senso di onesta comprensione, forse di reali sentimenti fraterni. Che accrescono quando intravede nel comportamento irresponsabile ed odioso tenuto dal padre nei confronti di Frankie (che l’ha abbandonata in tenera età “costretto” a scegliere una sola famiglia) una comunanza di sensazioni riguardanti la controversa figura del genitore. Tutte le scelte - e le non scelte - di Sam ne riflettono il flusso di contrastanti emozioni che l’attraversano e lo sospendono in uno stato di forte confusione ed indecisione (come non svelare alla sorella la sua vera identità), ed ogni passo fatto - avanti, indietro, da fermo - sembra perciò verosimile, sicuramente comprensibile.
Forse la storia in sé non dirà molto, eppure l’atmosfera in cui è finemente raccolta pare avere un respiro di autentica partecipazione, di effettiva voglia di raccontare con sguardo fresco e calzante l’intricata rete di fili che avvolge il sistema degli affetti, familiari e non.
La regia di Kurtzman è semplice ma efficace, non si lascia trascinare verso facili derive stucchevoli e non dà enfasi ai passaggi più emblematici, di rottura. Si concentra sui personaggi, sulle loro azioni e re(l)azioni, prendendosi i giusti tempi e dosando con cura i valori messi in campo, sapendo ben gestire inoltre la varietà degli ambienti e delle situazioni. E tutti gli elementi (fotografia; scenografie; recitazione; musiche; montaggio) seguono la stessa strada, agiscono in armonia.
Al ritmo di una esaltante, ricca di sfumature e vibrazioni, ballata rock.
Già, perché il fatto che il lavoro del padre defunto fosse quello di apprezzato produttore musicale e talent scout, permette di dare grande risalto proprio alla musica, sia nella colonna sonora sia nei continui, gustosi e “colti” riferimenti; aspetto che s’incastra con sapienza nel descrivere Sam e le sue relazioni - vecchie (il padre) e nuove (il nipote, a cui fornisce la “giusta” educazione con l’imprescindibile sequenza Gang of Fuor - Buzzcocks - Joy Division - Clash - Television), ma che contribuisce altresì a differenziare i toni - più personali, ricercati, equilibrati - da altri film aventi tematiche simili.
Nota non proprio azzeccata risulta essere la scelta di Chris Pine come protagonista: non che sfiguri in maniera oscena, ma non ha le caratteristiche idonee per una parte così sfaccettata e intensa (non basta certo fare gli occhi lucidi e poi affidarsi solo al copione). Positiva la prova della partner Elizabeth Banks che delinea una Frankie fragile, ferita ma al tempo stesso combattiva e fiera. Olivia Wilde d’altro canto si ritrova con l’ennesimo ruolo in cui è sprecata: è Hannah, la fidanzata di Sam; ruolo in verità non del tutto essenziale ed un po’ ai margini, ma che serve comunque a ritrarre la complessità del personaggio principale. Il meglio arriva da un comprimario di lusso quale è Philip Baker Hall ma soprattutto da una più che convincente e sempre affascinante Michelle Pfeiffer (la madre di Sam).
A chiudere People Like Us c'è il lieto fine, che prospetta cambiamenti (in meglio) e il trionfo dell’amore fraterno, o quantomeno la possibilità che si realizzi. Immancabile, certo, ma del tutto accettabile e finanche emozionante in virtù di una geniale - anche se ad un certo punto intuibile - trovata del filmino amatoriale che risolve alcune questioni e apre la porta a nuovi scenari.
Opera piccola e preziosa, naturalmente imperfetta, People Like Us , che non ha goduto di grande visibilità. Inutile dire che ha incassato una miseria negli States.

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