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Hunger Games

Regia di Gary Ross vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Hunger Games

di scandoniano
10 stelle

In un futuro distopico non troppo lontano, si tengono annualmente gli Hunger Games, crudeli olimpiadi della sopravvivenza a cui debbono prestarsi gli sfortunati “prescelti” dei dodici distretti attorno a Capitol City, nella terra di Panem’, che nel passato si rivoltarono contro i potenti e che dunque oggi pagano tale irriverenza, sacrificando un ragazzo ed una ragazza che dovranno combattere, uccidendo gli altri 23 per il puro piacere voyeuristico… La follia mediatica teorizzata nei best seller letterari di Suzanne Collins e riportati sul grande schermo da Gary Ross (curiosa la sua investitura, dati i 2 film in 13 anni di carriera), è un efficace esercizio che mostra allo spettatore cosa questi possa diventare in futuro a seguito della sfacciata bulimia di immagini, tanto reali quanto cruente, di cui si ciba oggi, soprattutto attraverso i reality show. “Hunger games” prende a prestito le preconizzazioni di George Orwell in “1984”, adattandole ad una modernità post-apocalittica che evidenzia come in un universo dominato dai soli parametri “audience” e “danaro”, il depauperamento di calmieratori quali buonsenso e soprattutto buon gusto, possa portare ad un assurdo cortocircuito mediatico-realistico in cui il premio in palio non è più una cifra in danaro, bensì la propria sopravvivenza. Si noti la differenza emozionale tra il popolo dei distretti, che assiste inerme e silenzioso alla “mietitura”, ed il pubblico degli Hunger Games, lobotomizzati fantocci che si nutrono solo di presunta realtà mista a morte (un paragone calzante ma azzardato potrebbe essere la differenza che intercorre tra i prigionieri di un lager e il pubblico di un main event di wrestling) . La differenza è sostanziale, evidentemente: nonostante entrambe siano folle, e tutte e due siano gestite da un mentore (la truccatissima Effie Trinket e l’anchorman dalla chioma blu Caesar Flickermann), la difformità, ci spiegano gli autori, la fa la cultura e la consapevolezza del pubblico, più che l’appetitosità della confezione propinata. In tal senso è emblematico l’epilogo degli Hunger Games numero 74, in cui la protagonista, nel finale, è capace di rompere il giocattolo tramite un’intelligente azione endogena, scardinandone i meccanismi che non solo lo regolano, ma che lo rendono funzionante (nonché replicabile). Il film è molto intenso e fornisce numerosi spunti di riflessione, con un’ottima suspense, specie quella precedente alla competizione (preparazione e ricerca degli sponsor). Il merito del funzionamento di tali meccanismi di tensione è dovuto anche dell’ottimo cast, su tutti la giovanissima (e già premio Oscar) Jennifer Lawrence, nel ruolo di Katniss Everdeen, la ragazza tutta cuore e coraggio sorteggiata nel distretto 12, che tiene benissimo un ruolo non semplice, pervasa com’è da sentimenti primordiali misti ad una educazione puritana. Ciò che disturba non è tanto l’efferatezza degli assassinii, o i sentimenti atavici di una violenza ancestrale (per di più indotta!), quanto la mancanza di coscienza da parte dello staff degli Hunger Games, che vendono a buon mercato il dono più importante di tutti, la vita, senza il minimo tentennamento, senza alcuna repulsione o rimorso per il fatto di istituire arbitrariamente un gioco al massacro evitabile e puramente ludico. Nessuno tra il regista (interpretato da Wes Bentley), il presidente dei giochi (Donald Sutherland) o l’ineffabile presentatore (Stanley Tucci) tradisce alcuna smorfia del viso in cui possa minimamente trasparire la frase “ma cosa siamo arrivati a fare?”; nessun tecnico o addetto ai lavori tradisce emozione o addirittura prova a boicottare i giochi. Sono tutti automi, più stupidi e crudeli degli imperatori romani che promuovevano i giochi circensi. “Hunger Games” è un bel film, figlio di una grande intuizione di fondo, tuttavia forse più efficace nelle pagine di un libro che in un film, a causa di una genesi letteraria che persiste impetuosamente per tutta la durata della visione.

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