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The Woman in Black

Regia di James Watkins vedi scheda film

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La recensione su The Woman in Black

di scandoniano
8 stelle

Nell’Inghilterra ottocentesca, l’avvocato vedovo Artur Kipps (Daniel Radcliffe) è costretto a dimorare nella terrificante casa signora Drablow, isolata al centro di un’angusta palude,  poco fuori un tetro villaggio di campagna, teatro della tremenda morte del piccolo Nathaniel, affogato proprio nella palude qualche tempo prima. Mentre indaga tra le carte, Kipps si scoprirà circondato da una comunità timorata dai presunti malefìci della stessa donna, intanto morta suicida.

Uno dei titoli più interessanti ed attesi del 2012 non delude le aspettative, rivelandosi un horror efficace e ricco di pathos. Curiosa produzione italo-anglo-svedese, “The woman in black” non è solo il ritorno sul grande schermo di Daniel Radcliffe, ma soprattutto un interessante plot tratto dall’omonimo romanzo di Susan Hill, un libro interessante ed intensissimo. La trasposizione al cinema è affidata a James Watkins, che si avvale di maestranze di buona levatura, in primis Marco Beltrami alle musiche, Jon Harris alle prese con il fondamentale montaggio e Tim Maurice-Jones, autore di una fotografia sbilanciata e sensazionalistica, ma tutto sommato peculiare.

La storia prevede un clone di Jonathan Harker (del “Dracula di Bram Stoker”) che si ritrova in una comunità coesa come quella vista in “The village” di Shyamalan, ma dal fascino misterioso e sfuggente come nella Sleepy Hollow inscenata da Tim Burton. Ne viene fuori una messa in scena interessante, uno spettacolo esteticamente dignitoso, ben architettato, anche se non molto complicato da decifrare. Quando le vicende si sono dipanate completamente (quando cioè si è capito che quelle di Kipps non sono delle “semplici” allucinazioni empatiche), si tratta solo di capire il nesso che intercorre tra il misterioso fantasma vestito a lutto e la dipartita, poi rivelatasi sistematicamente dovuta a suicidi, da parte dei bambini del villaggio. Una volta compreso il meccanismo, il film cambia registro e con esso il personaggio: non è più un thriller-horror, bensì si concretizza nel disperato tentativo, prima filantropico, poi anche egoistico, da parte di Kipps di risolvere il caso. Fino al finale a sorpresa, anche se semanticamente incomprensibile.

Doverosa menzione per Daniel Radcliffe, non più il maghetto senza occhiali che eravamo abituati a vedere ad ogni sua apparizione sul grande schermo, ma chiamato a fare l’attore vero. Per quanto non abbia ancora un campionario espressivo degno di tal nome, l’ex Harry Potter tiene bene il personaggio (non semplice, rappresentato da un giovane uomo temerario ai limiti della stoltezza – bastava prendere le carte e visionarsele con calma a casa propria: chi lo avrebbe denunciato per questo “prestito”?). Eppure, per dare un giudizio reale sulla sua bravura da attore, occorrerà valutarlo altrove, magari in qualche film in cui l’espressione richiesta non sia solo una, ossia quella del bamboccione stranito.

In ogni caso film interessante e piacevole da vedere.

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