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Red State

Regia di Kevin Smith vedi scheda film

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La recensione su Red State

di cheftony
7 stelle

E un omosessuale non smetterà di peccare di propria volontà! Ed è compito dei giusti arginare il diffondersi della sua malattia. «Se un uomo ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio e dovranno essere messi a morte». Questa è la scrittura! Questa è la scrittura. Bene, la furia di Dio è rivelata dal Cielo di fronte ad ogni empietà.”

 

 

Travis (Michael Angarano), Jared (Kyle Gallner) e Billy Ray (Nicholas Braun) sono tre adolescenti vogliosi di sfruttare un annuncio online di una 38enne pronta ad offrire sesso a tutti e tre insieme. La serata nella quale gli inesperti ragazzi decidono di consumare il foursome non parte nel migliore dei modi: dapprima urtano un'auto parcheggiata sul ciglio della strada (in cui lo sceriffo della contea sta ricevendo un rapporto orale da un altro uomo), poi fuggono fino all'abitazione della ninfomane, tale Sara (Melissa Leo). Questa offre loro birra drogata, per condurli così dalla sua squallida roulotte alla Five Points Trinity Church del pastore Abin Cooper (Michael Parks), guida spirituale di una setta di invasati, omofobi, fanatici religiosi.

Presi in ostaggio con l'evidente scopo di essere giustiziati, i ragazzi tentano la fuga ma la situazione degenera; in qualche modo, le forze dell'ordine risalgono a loro tramite le vetture incidentate e passano il comando delle operazioni all'ATF.

L'agente federale dell'ATF Keenan (John Goodman), risoluto ed esperto, vorrebbe fare il possibile per salvare il salvabile. Ma gli ordini superiori, nonché la furia assassina di Cooper e dei suoi adepti, lo costringono a optare per una via strategicamente folle…

 

Faccio questo lavoro da 18 anni. Non dirò a mia moglie che deve pinzare coupon finché moriremo perché non sono riuscito ad eseguire un semplice ordine, anche se di merda! E non stiamo parlando di Gandhi qui! Ho un pezzo di cranio di Brooks nel mio ginocchio, cazzo! Ci stanno sparando con armi militari d'ordinanza! […] Tieni gli uomini pronti per l'irruzione!”

 

 

Red State”, decimo lungometraggio di Kevin Smith, ha fatto parlare, più che per il suo valore, per la bizzarra vicenda legata alla sua distribuzione: è stato auto-distribuito tramite la neonata casa SModcast Pictures dopo la presentazione al Sundance Film Festival 2011, al quale Smith annunciò clamorosamente che non era lì per cercare un distributore e che avrebbe fatto tutto per conto suo con un tour, senza l'appoggio dei media tradizionali. Il budget è stato di 4 milioni di dollari (discreto, ma anche il più basso per Smith fin dai tempi di “Clerks” e “In cerca di Amy”) ed è stato compensato solo dai rientri del mercato home-video (gestito però dalla Lionsgate). Tanta polemica per poco o nulla?

Comunque sia, il buon vecchio guascone di Kevin Smith si cimenta qui con l'horror, in modo pure tanto audace da non proporre passivamente un'accozzaglia di cliché, preferendo guardare quasi sfacciatamente a Romero per la natura pressoché politica del film, travestito da opera di intrattenimento; quest'ultimo è garantito quantomeno dal ritmo serrato, dagli interpreti più che buoni (il mefistofelico Parks, Goodman e la Leo spiccano gioco forza) e da un numero imprecisato di “tarantinismi”.

Red State” (espressione con cui negli USA si indica uno Stato a forte tendenza politica di stampo repubblicano) si scaglia contro il fondamentalismo religioso, ispirandosi alla figura di Fred Phelps, pastore della Chiesa battista di Westboro in Kansas, nota per la sua gestione familistica e per gli atti di propaganda omofoba e antisemita, come i picchetti ai funerali di omosessuali prontamente ripresi nell'incipit; oltre metà film si inserisce una grossa frecciata anche alle autorità anti-terrorismo, che in realtà si sovrappone al tema principale rischiando il sovraccarico, giungendo fino ad una prolissità controproducente: nessuna allegoria, “Red State” punta allo “spiegone”. Fortunatamente Smith ritrova sprazzi di umorismo nero, invero centellinato per far spazio alla condanna sempliciotta di un'America ipocrita, arretrata, guerrafondaia.

Registicamente parlando, se la shaky-cam nelle scene più convulse è ormai espediente trito, c'è un'idea ottima da sottolineare: la rinuncia a dei veri e propri protagonisti, diversi e divisi in tre spezzoni (prima i ragazzi, poi il pastore e infine l'agente), da cui il film non si fa remore a separarsi brutalmente. Atipica, soprattutto per Kevin Smith che per “Clerks” spese un bel po' in diritti, la colonna sonora, costituita esclusivamente dai canti religiosi, intonati a cappella o accompagnandosi al pianoforte, di Michael Parks.

Insomma, tutto sommato “Red State” sarebbe anche un film da far ben sperare per una nuova fase di carriera per il corpulento e discontinuo autore del New Jersey: ma già dal successivo “Tusk” le cose prendono una piega tutt'altro che positiva.

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