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Trollhunter

Regia di André Øvredal vedi scheda film

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La recensione su Trollhunter

di pazuzu
6 stelle

Thomas Johanna e Kalle, una mini troupe di studenti dell'Università di Volda, in Norvegia, decidono di mettersi sulle tracce di un misterioso uomo di nome Hans, che conduce vita solitaria e pare cacci orsi di frodo: egli alloggia in una roulotte che abbandona al calare della sera per addentrarsi, a bordo di un furgone, nella fitta vegetazione dei boschi della zona. Telecamera sempre in spalla, lo avvicinano chiedendogli invano un'intervista, poi, ricevuto un secco diniego, proseguono il pedinamento di nascosto fino a quando, a notte fonda, trovano il suo mezzo parcheggiato in un sentiero e, non molto distanti, prima odono strani versi animali e scorgono nel cielo inspiegabili bagliori di luce, poi si vedono da lui stesso raggiunti, che li esorta alla fuga.
Ma altro che orsi, le sue prede sono nientemeno che troll, enormi predatori umanoidi che evidentemente non popolano soltanto le fiabe: messi a parte del gran segreto e testè autorizzati a riprenderlo purché seguano alla lettera le sue direttive, i tre aspiranti reporter d'assalto colgono la palla al balzo e decidono a cuor leggero di accompagnarlo nella sua missione, convinti di avere a che fare con un pazzo od un burlone: ma saranno presto costretti a ricredersi, e scopriranno sulla loro pelle che quelle che pensavano essere creature inventate e leggendarie sono invece una piaga reale ed una minaccia concreta che il governo del paese fa di tutto per occultare onde evitare l'ingenerarsi del panico tra la popolazione.
André Øvredal, regista norvegese alla seconda esperienza sulla lunga distanza, parte da un'intuizione tanto semplice quanto, sulla carta, intrigante: prendere un'importante figura della mitologia scandinava e renderla protagonista di un mockumentary, ovvero un finto documentario. Le intenzioni sono chiare e inequivocabili già nella didascalia introduttiva, che presenta Trollhunter come la riproduzione non editata del materiale audiovisivo recapitato alla casa di produzione in un pacco anonimo: viaggiando sui binari di una seriosità volutamente artefatta grottesca e plateale il film genera istintivamente curiosità e simpatia, purtuttavia non riescendo a convincere fino in fondo.
Øvredal è attento a differenziare sia le location delle varie sfide che la morfologia dei diversi troll coinvolti, ed adotta, all'interno dei limiti strutturali che il genere impone, uno stile di regia poco chiassoso, attraverso l'uso (necessariamente) costante ma moderato della camera a mano, e la scelta coraggiosa e vincente di mostrare i troll anche frontalmente a corpo intero, senza nasconderli dietro l'oscurità o, appunto, dietro riprese volutamente troppo mosse e ravvicinate, evidenziando altresì il discreto lavoro compiuto dai tecnici degli effetti visivi; ma dimentica di apportare linfa ad una trama che a lungo andare si fa anemica e piatta, che viaggia a pieni giri per tutta la prima mezzora per poi involvere e chiudersi su sé stessa quando il dubbio fino ad allora alimentato diviene certezza: da quel momento, infatti, il film arranca, procede a strappi e per compartimenti stagni senza provocare ulteriori sussulti né particolari patemi, trovando come sole ragioni d'interesse la qualità complessiva della realizzazione tecnica e le numerose nozioni elargite riguardo caratteristiche ed abitudini (alimentari e non) dei bestioni in oggetto, producendosi addirittura in ardimentose spiegazioni pseudo scientifiche.
Lo spettatore viene così a sapere che i troll sono divisibili in due grandi categorie in guerra tra loro (quelli della montagna e quelli della foresta), che impiegano fino a 15 anni di gestazione prima di nascere per poi arrivare a viverne anche 1200, che sono ottusi e flatulenti, che segnano il territorio orinando una sostanza verde fetida e melmosa sui rami degli alberi, che mangiano qualunque cosa, fiutano sangue cristiano e masticano vecchi pneumatici come fossero chewingum, e che esplodono o calcificano (a seconda dell'età) se esposti al sole o a forti fonti di raggi UVB per via di una tara genetica che gli impedisce di catturare vitamina D; ma tra una rivelazione e l'altra, e nonostante un corollario di belle immagini, lo stesso spettatore trova tempo a volontà anche per domandarsi che fine abbia fatto la tensione dei primi minuti, e quale sia, nell'economia della pellicola, lo scopo di un manipolo di personaggi privi della benché minima caratterizzazione, esili ed incapaci di sviluppare la necessaria empatia: e se la prima è letteralmente sparita, affossata dal didascalismo figlio del rispetto del regista per le tradizioni del proprio paese e dalla contestuale rinuncia programmatica e progressiva al fattore mistero, i secondi, eccezion fatta per quello del cacciatore protagonista - ottimamente interpretato dall'attore televisivo Otto Jespersen -, ossia dell'uomo preposto alla diffusione della quasi totalità delle informazioni, sono ridotti a meri strumenti, chiamati a stabilire il contatto con la folkloristica specie per poi sistemarsi passivamente ai margini dell'azione.
Salutato da taluni come un potenziale e futuribile film di culto, Trollhunter è più semplicemente un'operazione allettante nelle premesse ma anonima ed involuta nello svolgimento, statica e carente dal punto di vista narrativo e salvata solo in parte dalla buona qualità della resa estetica: a conti fatti, una sostanziale delusione.

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