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Cogan - Killing Them Softly

Regia di Andrew Dominik vedi scheda film

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La recensione su Cogan - Killing Them Softly

di fixer
8 stelle

 

L’elemento chiave del film, a mio parere, è uno solo: la parola. Parlano tutti e parlano troppo. Oltre a questo, noto una forte influenza di Tarantino e Scorsese. Entrambi questi registi disseminano i loro film di fiumi di parole.

Infine, occorre riflettere sull’insistenza con cui il candidato alla presidenza USA Obama parla, per radio e per televisione.  Ancora e sempre, la parola.

Questi elementi, a mio avviso, sono alla base di un corretto approccio al film.

Il film è ambientato negli USA, nel 2008,un Paese che si avvia ad attraversare una crisi economica devastante (che tutt’ora dura) che metterà sul lastrico un numero impressionante di persone, che ridurrà in miseria centinaia di migliaia di americani e che farà riflettere seriamente gli analisti sulla validità o la sostenibilità di un intero sistema.

In questo contesto di desolazione (fabbriche che chiudono, banche che saltano, impoverimento generale ecc.), da un lato le parole di Obama suonano come patetiche, specialmente se udite in ambienti degradati o in bar spettrali frequentati da un’umanità alla deriva, come in certi romanzi di Raymond Carver o Dom De Lillo.

Dall’altro, in un mondo senza speranza, si muovono larve umane disperate, distrutte da una società spietata, che le spingono ad agire nel modo peggiore, arraffando, rapinando e uccidendo, in modo naif, ingenuo, da non criminali professionisti, ma da uomini spinti a farlo per la disperazione.

Garcia Lorca, in “AURORA” scrive di New York (e siamo alla fine degli anni ’20):”La luce è sepolta da catene e rumori in un’impudica sfida di scienza senza radici. Nei quartieri c’è gente che vacilla insonne come appena uscita da un naufragio di sangue”.

Questi disperati sono carne da macello, manipolati da banditi senza scrupoli e puntualmente spazzati via da chi non ammette sgarri nei propri “domìni”.

La trama, in sé, non è né nuova, né particolare. E’ un’ordinaria storia di piccoli delinquenti di mezza tacca che, dopo aver messo a segno una rapina, vengono regolarmente  catturati o ammazzati dalla malavita, che li punisce per aver rapinato una sala da gioco sotto la sua “giurisdizione”. L’altra storia, conseguente, è quella di punizione che il sicario di turno compie, uccidendo gli autori del furto, il mandante e uno sciagurato che in precedenza aveva rapinato la sua stessa sala da gioco.

Vittime, sicari e intermediari parlano, parlano e parlano, come dicevo. La parola riempie gli spazi dove non c’è azione. La parola aiuta a capire i caratteri e i personaggi. Va detto che il cinema americano non ha mai privilegiato la parola nel cinema gangsteristico. Si preferiva mostrare l’azione, usando spesso un ritmo serrato e razionale, sorvolando sull’aspetto psicologico. Il pericolo era quello di annoiare il pubblico con tanti discorsi. Il “crime movie” ha raggiunto livelli di altissima qualità, concentrando nei pochi dialoghi il necessario piano comunicativo, grazie anche alle capacità di grandi sceneggiatori e il talento di buoni registi.

Tarantino e Scorsese (e pochissimi altri) hanno ribaltato questo modo di fare. La parola comincia a prendersi spazi sempre maggiori e finisce spesso per diventare un elemento altrettanto importante dell’azione. Pensiamo a films come PULP FICTION o GOODFELLAS.

Questi dialoghi, spesso prolissi, aiutano ad entrare nella personalità, nel carattere dei vari personaggi. Ora cominciamo a conoscerli non solo per le loro azioni, ma anche per come ragionano. Essi ci forniscono la chiave per capire le loro azioni.

La parola li umanizza, ce li avvicina, stabilisce un legame empatico fra noi e loro. Sentirli lamentarsi della vita schifosa che conducono, dello squallore in cui vivono ci aiuta ad entrare in una sorta di sintonia con loro. E, nel caso di Dominik, questo ha un valore sociologico di primaria importanza. Non è più insomma la rapina di due disperati di cui non si sa nulla e la cui fine è fatto positivo perché la società ora è più sicura. Ora diventa la tristissima storia di due poveri sciagurati, piccole pedine sacrificabili, emarginati da un sistema dove sempre più arduo è sopravviverci.

Stessa storia con i “cattivi” veri, come Mickey (James Gandolfini), sicario un tempo “regolare”, ora ridotto a un rottame che s’aggrappa a sesso a pagamento e all’alcol per non precipitare. Ma sta annaspando, presto l’organizzazione per cui lavora se ne libererà, in silenzio e dolcemente, come per i”bersagli umani”. Nella scena in albergo, quando si confida con Jackie (Brad Pitt), veniamo a scoprire tutta la precarietà e la solitudine di questi squallidi personaggi, incapaci ormai di relazioni positive, di adattamento sociale e sempre più avvitati in un vortice la cui fine è segnata.

La cosa più intrigante però è l’irruzione, ad intervalli, dei discorsi che Obama tiene durante la sua campagna per l’elezione a presidente. A questo proposito, nella scena finale, Jackie, il vero ed unico killer del film, si lascia andare ad alcune riflessioni sulla società americana e sulla sua storia, rivelando tra l’altro di essa una conoscenza non elementare: in poche parole, Jackie contesta le parole di Obama facendo un accenno alla storia personale di Thomas Jefferson, uno dei padri della Nazione, e, partendo da questo esempio, liquida la retorica ipocrita di Obama il quale parla di valori fondanti della Nazione, quando, in realtà, il solo valore su cui gli Stati Uniti si basano, secondo lui, altro non è che il “business”.

Non ci sono più quindi due mondi: l’America da copertina, ricca, giovane, perbene e positiva e l’America degli “slums”, degli “homeless” e dei “losers”. Le parole di Jackie stabiliscono una saldatura fra queste due Americhe, entrambe accomunate dalla logica affaristica senza scrupoli.

Il significato dell’uso (o forse dell’abuso) della parola sta proprio qui e cioè nell’accomunare i piani alti del potere e quelli bassi della malavita sotto un unico segno, quello appunto del business a tutti i costi. Con una distinzione. I poteri alti usano l’ipocrisia per mascherare quello che li rende uguali ai piani bassi della società.

L’uso del rallentatore per certe scene di particolare crudezza non aggiungono nulla, anzi, le appesantiscono senza ragione.

 

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