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Cogan - Killing Them Softly

Regia di Andrew Dominik vedi scheda film

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La recensione su Cogan - Killing Them Softly

di Stuntman Miglio
8 stelle

Nero come la pece, cinico come un'esecuzione a sangue freddo. Andrew Dominik ci sbatte in piena faccia il lato più oscuro della bandiera americana. Quello che ha smesso di fabbricare sogni a vantaggio di incubi ben più redditizi, quello del business a tutti i costi, dell'individualismo senza scrupoli e dell'impietosità. Quello del sangue a fiotti come unica soluzione possibile.

Un film asciutto, immediato, con il plot ridotto all'osso, concentrato non tanto sulle azioni quanto sulle reazioni. Spropositate ed incontrollabili, dannatamente realistiche. Tre malviventi si coalizzano per rapinare una partita a carte; il colpo riesce ma spezza i ritmi di un racket troppo prezioso ed in città viene subito inviato un castigamatti pagato per normalizzare la situazione ed impartire quindi la classica lezione esemplare. Tutto qui, un inesorabile regolamento di conti che si dipana con inquietante naturalezza fra raggiri e mandati, orchestrato da un insospettabile consorzio della mala e portato avanti da un killer implacabile e pragmatico.

Sullo sfondo, la campagna elettorale Obama/McCain ed il relativo bombardamento mediatico fatto di slogan progressisti ed inviti a solidarietà e tolleranza. Fantascienza politica in diretta antitesi con un sottobosco proletario disilluso e guasto. Gli Stati Uniti del millantato cambiamento contro quelli della sempiterna brama di potere. Contrasti alimentati da odio e delusione in uno spaccato senza luce e buoni sentimenti (clamorosa la totale assenza di una compagine femminile). Dominik gira essenzialmente in spazi ristretti, interni o abitacoli, ma senza che la sua macchina da presa perda mai una certa mobilità e originalità di sguardo. Costruisce tensione attraverso atmosfere di malsana intimità e non ha paura di lasciar deflagrare sullo schermo le estreme conseguenze di una freddissima e distaccata violenza riparatrice. C'è stoffa e a Brad Pitt va innanzitutto riconosciuto il merito di averci creduto al punto da produrre in prima persona. Gran ruolo, il suo, ma superbo il lavoro di tutti gli attori con menziona particolare per le sgangherate caratterizzazioni di Mendelsohn e Gandolfini, parti malati del proprio tempo, reietti di una società fondata sull'avidità del singolo. Su tutto questo, Johnny Cash - the man in black - intona nere ballate d'umana disperazione. Tutto al posto giusto.

 

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