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Shame

Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film

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La recensione su Shame

di cheftony
9 stelle

“Ascolta, un'ultima cosa: il tuo hard disk è una fogna, davvero, hanno riportato il tuo computer, insomma...è osceno. Era pieno di troie, puttane, anal, doppio anal, penetrazioni, sesso orale estremo, creampie...non so neanche che roba sia! Sarà stato il tuo stagista?”
“Sul mio hard disk?”
“Sì, qualcuno ha forzato il tuo account. E si masturba a spese dell'azienda, capisci? Dev'essere uno davvero malato per passare ore su quello schifo.”

Brandon (Michael Fassbender) è uno yuppie sui trent'anni, impiegato in un'azienda di New York, con un bell'appartamento e una vita apparentemente normale e serena. L'apparenza, come spesso succede, inganna: Brandon vive la propria intimità con profondo disagio, essendo evidentemente affetto da una grave forma di dipendenza sessuale, sfogata fra prostitute, incontri occasionali e atti di masturbazione incontrollabili ed agevolata dall'indubbio fascino che è in grado di esercitare sul genere femminile.
Quando la sorella minore Sissy (Carey Mulligan), cantante girovaga e instabile, gli piomba in casa senza preavviso, Brandon si ritrova a dover fare i conti con le proprie pulsioni e con la propria natura, vuoi perché il suo capo-ufficio e amico David (James Badge Dale) si scopa Sissy alla prima occasione, vuoi perché condividere lo stesso tetto di una casa colma di riviste e DVD pornografici può generare attriti e incomprensioni, soprattutto se i due fratelli in questione hanno una psiche indebolita dalle dure lotte personali che stanno quasi inconsapevolmente affrontando.
Come se non bastasse, Brandon si scopre incapace di avere una relazione che implichi anche dei sentimenti (oltre al sesso) a spese della dolce collega Marianne (Nicole Beharie) e pure incapace di trarre eccitazione da atti sessuali e psicosessuali che non siano estremi, morbosi, eccezionali, dando il via ad un logorante vortice di dipendenza e di vergogna di cui non si può che intravedere a malapena la luce dell'uscita, sottile come una fessura delle porte scorrevoli della metropolitana...

Secondo e divisivo lungometraggio del video-artista inglese Steve McQueen, “Shame” è uno di quei rari pezzi di cinema che uniscono capacità (e volontà) estetizzanti degne di pochi alla sostanza narrativa e ontologica. “Shame” è un film tematicamente realistico immerso in una New York spenta, distante, artificiosa: da qui, dunque, la “prolifica” cozzatura fra il realismo di un argomento intimo e scandaloso e la nebulosità di un'atmosfera incerta.
Quello che più fa onore a McQueen è il coraggio nell'affrontare con risolutezza una tematica difficile e poco “cinematografica”. In “Hunger” già era presente come tema l'uso che l'uomo fa del proprio corpo (Bobby Sands ne fece un uso politico), mentre qui il corpo (nello specifico quello totalmente nudo di Fassbender) è richiamato come strumento per cercare un piacere meccanico o per lenire un dolore nascosto.
Proprio Michael Fassbender, ormai straordinario feticcio di McQueen, è la chiave di volta di “Shame”, capace di interpretare ruoli delicati sia riducendo al minimo la propria gamma espressiva lavorando di sottrazione, sia “esplodendo” nei momenti di maggiore pathos, che spesso e volentieri sono quelli in cui, in maniera più o meno ricattatoria, McQueen provoca un elevato grado di empatia fra lo spettatore e il protagonista. Basti pensare alla scena in cui la Mulligan canta “New York, New York”, facendo scorrere una lacrima sul volto di un Brandon di consuetudine gelido; è una scena che fa porre diverse domande: qual è la vera vergogna di Brandon? Quale la vergogna di Sissy?
Cercando di mantenere un'adesione totale al proprio protagonista, McQueen conferma il proprio stile elegante e ricercato, ma sempre ben lontano da leziosismi e preziosismi da sterile virtuoso della telecamera: ecco allora una caterva di primissimi piani e piani sequenza, di cui un paio tanto splendidi quanto funzionali, nonché meno evidenti del lunghissimo piano sequenza di “Hunger”. Una scelta che è non solo estetica, ma anche sostanziale: McQueen ti costringe ad essere Brandon, a non avere scelta, a vivere i suoi disagi senza sosta. A questo obiettivo sembra concorrere anche la colonna sonora, variegata e “mirata”, con preponderanza di opere classiche di Bach.
Impossibile, poi, esimersi dal citare un non-finale che fa malissimo. Oppure che fa benissimo, per chi fosse ottimista o volesse intravedere del moralismo spicciolo nel lavoro di McQueen. “Shame” è un film difficile ed emozionante, che migliora giorno dopo giorno dalla visione. **** e ½

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