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The Lady

Regia di Luc Besson vedi scheda film

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La recensione su The Lady

di M Valdemar
8 stelle

"Lei è libera di fare la sua scelta, signora“ ...
[un militare ad Aung San Suu Kyi]

In queste brevi parole dall’aspetto gentile risiede tutta la tragicità di una costrizione abietta e vigliacca.
"Libertà" di “scegliere” tra la famiglia, lontana, ad Oxford - e quindi con la certezza di non poter più rientrare - e la patria, devastata da una dittatura tra le più crudeli e repressive.
La grandezza del film sta nell’aver saputo efficacemente descrivere questa condizione assurda, segnata da un vile isolamento protrattosi per lungo tempo, che nemmeno la grave malattia del marito, Michael Aris, ha potuto interrompere.
Se The Lady è - doverosamente - la storia di questa donna eccezionale (che, per inciso, poteva tranquillamente proseguire nella sua vita da “casalinga” nella quieta Inghilterra), e quindi di tutte le traversie che l’hanno segnata (ma “la lotta continua“) sin da bambina, meritoriamente lo script e Besson danno ampio risalto ad Aris, la cui figura - sconosciuta ai più - contraddistinta da un amore incondizionato per la moglie che gli fa sopportare le più nefaste esperienze, s’erge, col suo incedere silenzioso ma determinato, a vitale supporto nel difficoltoso cammino intrapreso dalla sua “Suu”.
Le lacrime che le cadono dagli occhi alla notizia - non inaspettata eppure sconvolgente - del decesso di Michael non lasciano indifferenti, sgorgano direttamente nel profondo dell’animo in un profluvio emozionale disturbante e parimenti rincuorante.
La violenza, cruda, malvagia, persino banale contrapposta ad una dolcezza infinita, ad una risolutezza quasi “spirituale” nel perseguire la verità, la giustizia, l’armonia tra le genti accogliendone le voci, le diversità, i bisogni.
Naturalmente il pericolo retorica, anche in chi affronta una questione del genere cercando anche solo di parlarne, è alto; il disinteresse, per contrappasso, rischia così di diventare predominante. D’altronde, l’indifferenza, o meglio, l’abitudine ad apparire/essere/sentirsi indifferenti è uno dei mali della società moderna.
Ed invece il regista - di cui sono ben noti i trascorsi, lo stile, la “grandeur” - evita inutili lungaggini ed eccessi di enfasi e di facile ricercatezza della commozione, non indugia sui dettagli più effettistici che l’avrebbero potuto portare fuori strada. La sua conduzione è sicura, ispirata, conferisce ottima tenuta e ritmo calzante, con una messa in scena poderosa e sempre precisa, anche nella gestione dei diversi registri di ambienti e situazioni; in più, egli non ostenta la sua presenza, anzi, è come se avesse aperto un ossequioso distacco tra sé e l’oggetto-culto delle sue riprese, The Lady.
Il suo è un affresco biografico potente che coinvolge e cattura, che appassiona e ammutolisce.
Si potrà forse obiettare riguardo certi momenti apparentemente agiografici e una sceneggiatura che in alcuni passaggi non è molto incisiva e compatta, e valutare un poco sbrigativo il finale, ma - fermi restando gli inevitabili e necessari risvolti commerciali - la sincerità, la partecipazione di autrice (Rebecca Frayn) e regista appaiono sincere, le loro motivazioni autentiche, colme di rispetto e desiderio di diffondere il pensiero e la storia di questa donna straordinaria (e va bene se una volta tanto -non- si sprecano aggettivi elogiativi e superlativi).
La macchina da presa è spesso lì, a inquadrare in primissimi piani i tratti gentili, “nobili”, sofferenti di Aung San Suu Kyi, a registrarne le impercettibili ma progressive mutazioni che gli eventi, perlopiù drammatici, portano con sé.
Per una pellicola di questa natura impossibile prescindere dalla prova degli attori: semplicemente magnifica Michelle Yeoh, perfettamente aderente al personaggio senza abbandonarsi in appariscenti istrionismi virtuosi e mascheramenti esagerati (che tanto piacciono alle giurie di certi premi …), immensa per attitudine e bravura. Ed altrettanto maiuscolo è David Thewlis: infonde spessore al personaggio di Michael Aris, la sua interpretazione in levare convince e colpisce con forza.
Forza che possiede questo film. Quella dei grandi film.










 

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