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Alps

Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film

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La recensione su Alps

di cheftony
8 stelle

Come sapete, abbiamo cercato a lungo un nome accattivante e adatto per la squadra. Dopo varie riflessioni, alla fine ho scelto: Alpi.”

Alpi?”

Sì, Alpi.”

Perché Alpi?”

Alpi, fondamentalmente per due motivi. Il primo è che non rivela nulla di quello che facciamo, mentre il secondo è prettamente simbolico. Nessun'altra montagna può sostituire una montagna delle Alpi. Qualsiasi altra sarebbe più piccola e meno imponente, quindi un debole surrogato. La cosa sorprendente delle Alpi è che, mentre non possono essere sostituite da altre montagne, esse possono sostituire tutte le altre. A chi spiacerebbe vedere al posto del monte Ararat o del monte McKinley le Alpi?”

 

Un paramedico (Aris Servetalis), un'infermiera (Aggeliki Papoulia), una ginnasta artistica (Ariane Labed), il suo allenatore (Johnny Vekris): le Alpi.

Le Alpi sono una piccola associazione a fini di lucro, di cui è possibile disporre per un servizio assai particolare: rimpiazzare part-time le figure dei cari defunti dei clienti, i quali possono così rivivere per poche ore settimanali quei momenti - felici e meno felici - del passato che rendono meno amara l'elaborazione dell'evento luttuoso. Una società minuscola, pressoché clandestina, che si raduna nella palestra di allenamento della ginnasta e che richiede ai propri clienti poche basilari informazioni sul defunto: una fotografia, l'attore preferito, la professione, frasi ricorrenti, abitudini e altre piccolezze.

La riproduzione che i quattro sogliono mettere in scena è grottesca, impersonale, inattuabile, ma è pur sempre un lavoro serissimo, rigidamente orchestrato in tutti i dettagli dal paramedico. L'infermiera, per contro, pare soffrire una silente crisi d'identità e comincia ad immedesimarsi fin troppo in vite e mondi che non le appartengono…

 

 

Non è bastato il successo di “Kynodontas” a garantire al successivo lavoro del suo autore i fondi e la visibilità che avrebbe meritato; se alla prima mancanza Lanthimos può sempre ovviare col consueto stile, il rammarico riguarda la distribuzione limitata di “Alpeis”, tuttora inedito in Italia.

Se Lanthimos e il suo fidato co-sceneggiatore Efthymis Filippou avevano già creato qualcosa di sconvolgente, qui riescono – quantomeno per quanto riguarda l'idea di base – addirittura a superarsi, immaginando un contesto ancor più macabro e stratificato: mentre le aberrazioni di “Kynodontas” erano circoscritte essenzialmente ad una famiglia e al relativo microcosmo, le Alpi operano in modo pressoché limpido, sfruttando l'apatia e la vacuità in cui ognuno di noi vive. L'atroce rassegnazione con cui i clienti vogliono ricreare momenti surrogati, siano essi un sereno dialogo su una partita di tennis, una nuotata nel mare d'inverno o una cena, è diffusa normalità, è accettazione del fatto che nella vita recitiamo dei ruoli e che la morte lascia solo un posto vuoto. Le domande ricorrenti delle Alpi sugli attori preferiti non sono casuali: quello offerto dai quattro non è un servizio sociale, ma un'interpretazione prezzolata, a cui aderire con fedele sussiego a tal punto da smarrire la propria identità, avvolta in un malinconico, robotico, asessuale grigiore.

Incipit ed excipit, oltre a fornire un'ulteriore occasione a Lanthimos di funzionalizzare musica e ballo al suo cinema, sono speculari ed enigmatici; il placido annullamento delle proprie pulsioni e ambizioni sembra condurre paradossalmente al successo, laddove un accenno di empatia gioca invece un ruolo negativo.

 

Locandina internazionale

Alps (2011): Locandina internazionale

 

Nel ridotto cast spiccano una straordinaria Aggeliki Papoulia, ormai feticcio del regista le cui spigolosità trasmettono sempre un forte disagio, e l'emergente Ariane Labed, ma va segnalato anche Aris Servetalis, protagonista del precedente “Kinetta” e qui nei panni (forse un po' marginali) del baffuto e tirannico Monte Bianco.

Gli accenni ironici di Lanthimos sono sempre esigui, gelidamente sferzanti e ad azione brevissima, rendendo la visione di “Alpeis” estenuante e coinvolgente; la scena che più si destreggia fra il disturbante e il comico, a mio giudizio, è senz'altro quella in cui la messinscena di un litigio con successiva riappacificazione si risolve in un cunnilingus quanto mai impersonale e costruito.

Il gioco cerebrale e formale, che crea situazioni e personaggi che sfidano ogni paradosso, è il nocciolo della poetica dell'autore greco, che coadiuva il tutto con un'impostazione registica sempre rigorosa e distaccata. Può il suddetto gioco continuare a funzionare così egregiamente, senza sfociare in maniera? A detta di chi scrive, “The lobster”, sua prima escursione extra-ellenica e invero poco apprezzata in patria, è un gioiello al pari di “Kynodontas”, rispetto al quale evidenzia tratti comuni ma anche profondi cambiamenti (nonché felici adattamenti al primo budget cospicuo). “Alpeis” è un degnissimo raccordo fra i due lavori al momento più rinomati di Lanthimos, che al momento sta girando “The Killing of a Sacred Deer”. Inutile dire quanto lo attenda.

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