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Paradise: Love

Regia di Ulrich Seidl vedi scheda film

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La recensione su Paradise: Love

di Kurtisonic
8 stelle

Partendo da una delle asserzioni preferite dal regista  “l’inferno siamo noi”, nella trilogia del paradiso Ulrich Seidl documenta le possibilità apocalittiche a cui l’uomo moderno ricorre per cercare di interpretare il proprio destino. Paradise love, il primo capitolo, è quello dal contenuto più immediato, forse il più accettabile. Seidl però non è solo un regista portato alla provocazione e allo scandalo per il modo in cui rappresenta la realtà, ma è anche colui che elimina nella scrittura ogni appiglio di umana pietas, indica cinicamente la deriva della perdita di senso del vivere, le conseguenze dell’accettazione passiva verso i modelli esistenziali imposti dalla società consumistica. La cinquantenne Teresa, commerciante austriaca dal fisico debordante fa una piccola vacanza in Kenya dove non disdegna la ricerca di avventure a sfondo sessuale. Seidl si prefigge di sottolineare le differenze per fare emergere le similitudini che riportano le persone  sulla stessa linea d’onda esistenziale,  unisce un’umanità asservita ai dogmi imperanti del capitalismo capaci di inglobare ambienti e persone di ogni parte della terra. Mettere a confronto il corpo sfatto di Teresa con la fisicità dei disperati locali, l’opulenta volgarità dei resort e dei villaggi vacanza in cui fasulli benestanti si illudono di differenziarsi dalla miseria dei ghetti che stanno a pochi metri di distanza potrebbe risultare scontato e innescare una discussione su di un cinema “sociologico” che invece sta agli antipodi delle intenzioni del regista. Seidl è interessato a quanto producono lo sconquasso ideologico e  il cappio economico capitalistico, agli effetti dell’annientamento spirituale e della volontà, all’alterazione dei comportamenti, al loro mascheramento. Teresa di cui non si conoscerà che qualche brandello della sua storia, e la trilogia che contiene elementi di raccordo fra i personaggi femminili protagonisti dei tre film non farà altro che esaltarne la simbolicità (l’opposto di una singolarità psicologica che potrebbe offrire qualche giustificazione ai personaggi) si armerà degli strumenti più potenti che la nostra società tolleri: il denaro e il sesso. Se però sarà evidente che per limiti materiali il denaro si rivelerà un’arma spuntata e relativa per la soddisfazione della donna, l’appagamento sessuale si dovrà in qualche modo conciliare con un surrogato amoroso di cui non si possiedono più il respiro, le regole, i meccanismi e gli abbandoni. Seidl non ferma il suo sguardo su di un percorso indirizzato verso il baratro, il pessimismo del regista è saldamente attratto dall’inconciliabilità dei valori sociali, dalla frattura insanabile che le disparità materiali e soprattutto esistenziali hanno prodotto in qualunque tipo di comunità. Le turiste distese al sole parlano d’amore chiedendo di essere guardate negli occhi, mentre vagano alla ricerca di sesso facile a pagamento, Teresa stessa nelle sue avventure pretende dolcezza, ma tutto è falsato alla base dei loro comportamenti, il denaro e il sesso serviranno unicamente a nascondere l’incapacità di soffrire, di percepire vero dolore e dunque di provare vera felicità. Lo svilimento è totale, anche linguistico e lessicale, ognuno si barrica nel proprio degrado esistenziale, al massimo composto da passioni tristi indotte per forza dall’interesse globale che schiavizza le menti ed esautora il corpo di qualsiasi autonomia, compresa quella sessuale. Vista la fisicità delle turiste, non resterebbe che nutrirsi fino allo sfinimento, ma attenzione .. Paradise love non è propriamente un cinepanettone. 

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