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È stato il figlio

Regia di Daniele Ciprì vedi scheda film

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La recensione su È stato il figlio

di ed wood
4 stelle

Fellini, Pasolini e Scola shakerati in un cocktail amaro, dove gli ingredienti sono sbilanciati, a causa dell'inesperienza del barman. Al suo esordio solista, Ciprì le prova tutte, una dietro all'altra: il grottesco barocco espressionista di Fellini, con tanto di freak parade, un numero musicale abbozzato fra gli operai, l'affresco di provincia punteggiato da figure macchiettistiche; la frontalità assolata e la crudezza sottoproletaria di PPP; le facce brutte, sporche e cattive dell' homo italianus delineato dal fronte più cinico e disperato della commedia nostrana (quello degli anni 70, da Scola a Brusati). Il problema è che c'è troppo e per troppo poco tempo. Tante strade potenzialmente espressive e poetiche vengono accennate e subito abbandonate. Un film di abbozzi. Un film di stili e di sapori che non trovano il giusto amalgama. Questo non sarebbe neanche un grosso problema, visto che pochi registi all'esordio (anche se, per Ciprì, non si tratta di un vero e proprio debutto) riescono a dosare al meglio i toni e si abbandonano al vulcano di idee tipico di chi ha voglia di dimostrare tutto e subito. Il vero "dramma artistico" di questo film sta piuttosto nei tanti, troppi momenti in cui cade nel peggio cinemino italiota. E mi riferisco non solamente agli scivoloni da commedia pecoreccia (un Cinico TV / Zio di Brooklyn riveduto e corretto per l'Italia del 2012, telespazzatura-dipendente), ma anche a un certo "sorrentinismo" dilagante in molte sequenze: movimenti di macchina inutilente avvolgenti, sequenze ad effetto dove la suggestione della forma è completamente slegata dal discorso contenutistico (esempio: le 3 sequenze del treno che passa davanti alla casa del mafioso), sterile culto dell'eccesso ect...Peccato perchè, come sempre, Servillo ha dimostrato tutta la sua classe trasformista, in questa inedita riedizione del Nino Manfredi anni 70. E peccato per quei 2 o 3 momenti di poesia, che meritavano maggiore sviluppo, come la panoramica dal finestrino di Serenella. Il finale, forte di un montaggio concitato, ennesima variante stilistica di un film troppo eterogeneo per essere compiuto, fa rimpiangere l'opera che avrebbe potuto essere. Troppe disfunzioni a livello di script, di regia, di concetto, a fronte di una fotografia che quantomento riesce a creare un ambiente, un'atmosfera surreale. Ma questa ovviamente non è una sorpresa: da Ciprì ci si attende sempre il meglio in materia fotografica. Ci si aspettava invece qualcosa di più sul piano registico: sarà per la prossima volta, anche se l'impressione è quella di un immaginario stantio, destinato a riproporsi ad libitum.

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