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L'arte di vincere. Moneyball

Regia di Bennett Miller vedi scheda film

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La recensione su L'arte di vincere. Moneyball

di giorgiobarbarotta
8 stelle

Di cinema sportivo ne abbiamo visto a bizzeffe e conosciamo i meccanismi e il fascino e il pericolo della retorica del genere. Calcare pedissequamente fino in fondo i clichè avrebbe significato rendere questo Moneyball (due stellette al titolo italiano) noioso e scontato. Invece, vuoi per il baseball ermetico e lontano dalla nostra cultura, vuoi per il taglio francamente innovativo della storia, tutta legata al calcolo e al rapporto di stima e collaborazione tra un nerd al limite del geniale e un ex atleta ora general manager determinato e tormentato, la pellicola gira e appassiona. Si prende i suoi tempi, non ci massacra con montaggi frenetici e decine di minuti di partite e partite e gesti tecnici e primi piani e enfasi agonistica e via dicendo (anzi alterna immagini di vecchi incontri e foto seppiate con misura e garbo); non ci tedia oltremodo con tragiche vicende private ed excursus di divorzi e affidamenti e fallimenti sportivi e sfighe di vario genere (accenna con discrezione); ci strappa piuttosto qualche sorriso qua e là con funzionali siparietti da onesta commedia e soprattutto ci emoziona senza entrare nello scivolosissimo terreno del perdente che arriva sul gradino più alto del podio in modo poco verosimile e americanissimamente doc. Qui certo c'è un filotto di vittorie, un record che rappresenta un evento, un successo enorme e un miracolo sportivo; ma il fulcro è rappresentato in primis da una filosofia controcorrente, un credo antitetico al sistema, che non passa necessariamente per i soldi a tutti i costi, quanto piuttosto si basa sul ragionamento, sull'analisi, sulla fiducia nei numeri, sull'abnegazione al lavoro certosino, al mestiere dello spogliatoio, alla reale sfacciataggine di licenziare su due piedi senza preambolo alcuno, alla cocciutaggine di imporre un credo diverso e controcorrente nella gestione di una società. Alla fine i traguardi si raggiungono e i conti tornano. E il romanticismo c'è pur sempre temprato dalla massima che ricorda "il primo che passa il muro è sempre insanguinato".

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