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El hombre de al lado

Regia di Mariano Cohn, Gastón Duprat vedi scheda film

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La recensione su El hombre de al lado

di OGM
8 stelle

Nella bianca essenzialità geometrica di una palazzina progettata da Le Corbusier, e nella vita del designer Leonardo Kachanovsky, creatore di una sedia superergonomica, irrompe improvvisamente un volgare colpo di martello. Quello che, continuando a battere, dall’interno, sul muro antistante la parete di vetro della raffinata unità abitativa, si fa poco a poco strada verso la luce del giorno. Dietro di esso c’è il rustico Victor, con testa rasata e canottiera, che, alla faccia della privacy dei suoi dirimpettai, rivendica il proprio diritto ad usufruire, pure lui, di un piccolo raggio di sole. Inizia così una storia di cattivo vicinato, che si esprime cinematograficamente attraverso un dialogo a distanza,  un gioco di prospettive, di superfici parallele, di trasparenze, di rettangoli sovrapposti. Il teatro in cui si svolge quell’asimmetrica contesa è un vuoto costruito a misura d’uomo, in cui l’individuo è destinato a rimanere solo ed invisibile: l’ideale della felicità domestica per l’élite, ma l’inferno per l’umanità verace, che, al contrario, cerca il contatto diretto con il resto dell’universo.  L’angoscia di Leonardo e, soprattutto, di sua moglie, che teme per la propria intimità, si sviluppa di fatto intorno ad un buco: uno spazio  che interrompe il loro splendido isolamento, introducendo un’inopinata discontinuità nella perfezione della loro riservatezza. Quel nulla che, per l’uno, è una naturale apertura verso il mondo, per gli altri è invece un occhio indiscreto, che si inserisce insolentemente nel loro regno appartato ed esclusivo, al fine di carpire i loro segreti. Dalla loro confortevole fortezza di cristallo, i Kachanovsky vogliono dominare con lo sguardo il paesaggio, la città, il fermento dell’ambiente circostante, senza però essere a loro volta osservati. Il loro rapporto con le forme dell’universo è mediato dalle strutture architettoniche, che sono la metafora di un intellettualismo sterile, che tutto analizza e scruta con distacco, ispirandosi ad un equilibrio puramente matematico, che poco ha a che fare con la vita vera. La mente di Leonardo procede per definizioni (come quella che distingue una seggiola da una poltrona o da una sdraio) e per modelli schematici (quelli che descrivono le linee di uno schienale o di un bracciolo), perché ciò fa parte della sua professione, e quindi del suo ruolo nella società. In lui, come nei suoi familiari, è evidente il rifiuto di mescolarsi al caos del cosmo, per rimanere sospesi in una sfera di pace artificiale: quella della moglie, che tiene sedute di yoga (inteso come allenamento al pensiero astratto) e della figlia adolescente, che si assorda e si aliena con la musica sparata nelle cuffie. La loro dimensione inviolabile funge da sofisticata copertura all’incomunicabilità (tra di loro) e all’ipocrisia (nei confronti degli altri). Disinteresse ed insensibilità fanno di loro degli arredi statici ed imbelli,  privi di forza espressiva e di carica vitale, essenziali ed incolori come lo stile modernista, e al pari di, quest’ultimo, affezionati ai volumi imponenti e senza contenuto. La figura di Victor si contrappone loro, provocatoriamente, come un pezzo di carne di fronte ad un fregio di marmo. La sua corporeità solida e squadrata pulsa di desiderio, di fantasia, di curiosità, e di un elementare gusto per la vita, in un insieme dall’aspetto rozzo che, però, non esclude affatto il lume dell’ingegno: un genio privo di disciplina e di educazione, che, forse proprio per questo, intrattiene con la propria esistenza e con il prossimo un rapporto sano, spontaneo e  genuino e, soprattutto, improntato al rispetto e alla generosità. Quello strano individuo, che si sposta con un furgone odorante di olio da motore, che realizza sculture con proiettili e pezzi di ferro, ed allestisce ambigui teatrini con le dita danzanti tra gli oggetti, fa da ruspante contraltare all’inutilità, chic ed altezzosa, di chi, in tutti i sensi, si bea di vivere al di sopra degli altri. El hombre de al lado è lo studio analitico di una situazione anonima e inquadrata, in cui, d’un tratto, entra un soggetto dotato di un’identità autonoma e di un modo di agire libero e imprevedibile: un fuori programma che è un elemento di disturbo, ma che, in un mondo ermetico ed esanime può, in extremis, essere portatore di un’insperata salvezza.

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