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Gion bayashi

Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film

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La recensione su Gion bayashi

di EightAndHalf
8 stelle

Le giovani donne, nei film di Mizoguchi, sono creature aggraziate e dalla vocina flebile che camminano sui quei trampoli che sono le loro scarpe e si atteggiano civettuole per trattare bene gli uomini più o meno onorevoli che le vengono a trovare in quanto geishe (o che le geishe stesse raggiungono, nei loro ritrovi intorno a un tavolo davanti a qualche piatto o a qualche bicchierino di saké). Il loro corpo e il loro carattere viene educato fin dalla prima gioventù per intrattenere nella maniera più docile e quasi servile il piacere maschile in tutti i suoi aspetti: ludici, gastronomici, sessuali. Un desiderio maschile e una virilità, però, che si impongono con poca creanza e finiscono per ridurre le giovani maiko in situazioni bestiali e quasi disumane. Qual è il limite a cui la giovane protagonista Eiko si deve attenere e con il quale potrà capire a che livello quegli uomini tanto influenti potranno approfittare di lei? Qual è la realtà di quella tradizione giapponese che per le donne è anche l'alternativa spesso più allettante a una famiglia che sempre più difficilmente dimostra il proprio affetto? Come, dunque, difendere ancora la propria dignità, se la loro attività principale è espletare complimenti a iosa e sorridere in continuazione, quand'anche il disagio dentro di loro si è fatto opprimente e sofferto? Mizoguchi cerca di difenderle come può, con una regia rigorosa ma tenue che osserva la giovane geisha entrare in quel nuovo mondo e in quella nuova realtà che sarà la sua vita e il suo futuro. E il fatto che si parteggi per la protagonista, indifesa, piccolina, eppure tanto ambita da un uomo socialmente importante, è un'altra forma di umanità che pure Mizoguchi adotta per avvicinarci alla triste condizione di Eiko e alle sue attanaglianti delusioni, come fosse una piccola O-Haru.
Seppur lontani da quel mondo e da quelle realtà, il grande regista racconta anche a noi occidentali le vicende che rappresenta coinvolgendoci profondamente a livello emotivo, non raggiungendo certo i vertici di altre sue opere (Le strade della vergogna, per dirne una, risulta superiore) e mantenendo sempre un tono semplice e immediato (con guizzi visivi a tratti geniali, come nelle sequenze in cui le giovani geishe ricevono la loro rigida educazione, il che pure dimostra come filmacci come Memorie di una geisha siano oggi ridicole riduzioni di qualcosa che ci è già stata raccontata con molta più sincerità), ma enfatizzando, quando giusto, alcuni momenti particolarmente toccanti in cui, per esempio alla fine, l'intesa di Eiko con la "Sorella Maggiore", che pure si impone perché tutt'e due possano continuare rassegnate la loro attività, è l'ultimo raffinato tocco narrativo per rendere le due donne due eroine quotidiane i cui abiti, sempre pesanti e ingombranti, non possono essere difesa concreta da un mondo in cui l'ipocrisia, il denaro e il maschilismo regnano incontrastati. Non che si raccontino vere e proprie eroine, sia chiaro: si parla di due donne normali che, nel loro mondo e agli occhi di Mizoguchi, risultano assolutamente dignitose, nonostante la corruzione, nonostante l'evidente infelicità, nonostante l'avversione che le circonda. Sicuramente Eiko è uno dei ritratti mizoguchiani più riusciti, di dignità quasi letteraria.

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