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Contagion

Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film

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La recensione su Contagion

di lao
6 stelle

MAGICI MOMENTI
In un confortevole salotto di Minneapolis, addobbato per l’occasione, la giovanissima figlia di Mitch( Matt Damon), festeggia il compleanno ballando avvinta all’innamorato; la musica si diffonde per la stanza e il padre da poco vedovo, guardando dalla porte la scena, sorride. In “Contagion” però il momento magico viene bruscamente interrotto,  si riportano indietro le lancette dell’orologio e si illustra, quando ormai il dramma della pandemia è quasi arrivato all’epilogo, quale ne è stata l’origine: in una località dell’Estremo Oriente un pipistrello si alza in volo, capita in una stalla dove incontra un maiale  malato; questo  viene ucciso da un cuoco, che, dopo essersela sfregata sul grembiule imbrattato dal sangue dell’animale infetto,  dà la mano alla manager statunitense Beth Emhoff ( Gwyneth Paltrow), la moglie di Mitch, il cosiddetto paziente zero. Da questo gesto insignificante, in quanto ripetuto miglia di volte ogni giorno da migliaia di persone, è iniziato tutto e l’essere informati delle modalità di contagio fa accapponare la pelle; ci tocchiamo  il viso senza accorgercene molte volte in un solo minuto, posiamo le mani ovunque, respiriamo alito e sudore altrui, insomma il morbo invisibile ed esiziale ha a disposizione miliardi di potenziali ed inconsapevoli sicari che si uccidono a vicenda. L’aver posto l’accento asetticamente sui pochi  dati scientifici disponibili e sull’iter delle procedure di emergenza adottati dagli organismi appositi in casi simili  a scapito dell’azione e dell’ approfondimento delle psicologie individuali  è l’anomalia di “Contagion” rispetto ai numerosi film e tv movie appartenenti al medesimo filone:  il contesto in cui i vari personaggi operano è assolutamente credibile. Steven Soderbergh e lo sceneggiatore Scott Z. Burn del resto avevano a  disposizione un copione già pronto e già sceneggiato le numerose volte in cui il pianeta è stato minacciato da una nuova “peste” e lo hanno seguito quasi alle lettera, facendo a meno delle iperboli rassicuranti della spettacolarizzazione e scagionando le sperimentazione folli dei soliti apparti di Stato deviati. Su tale sfondo  le sequenze di massa sono le più efficaci, in quanto lì è palpabile il dominio assoluto del senso di impotenza, della paura e dell’abbandono irrazionale alla speranza della cura miracolistica.  Panico e disperazione collettivi, che  i profittatori, come il blogger ( Jude Law),  assecondano, e contro cui lottano ricercatori e medici generosamente fedeli alla propria missione. I tipi umani così evocati appartengono certo alla tradizione del filone catastrofico che ha i nobili archetipi nella letteratura,  dalla storico greco Tucidide a Manzoni e Camus: quando la catastrofe sovverte i valori e le condizioni di vita, l’uomo riesce a dare il peggio e il meglio di sé. Tuttavia il lungometraggio non calca troppo la mano né sul cinismo né sull’altruismo, documentando il pessimistico assunto che colpe e meriti umani finiscano con il controbilanciarsi nella reciproca irrilevanza.
 
Per confronti e percorsi culturali suggeriti dal film cfv mio blog: http://spettatore.ilcannocchiale.it/post/2678015.html

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