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In Time

Regia di Andrew Niccol vedi scheda film

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La recensione su In Time

di Stuntman Miglio
8 stelle

Il tempo è denaro. Letteralmente.
L'idea alla base di "In Time" è tanto semplice quanto interessante. Conio al bando, in un futuro non meglio precisato - e comunque non troppo lontano - l'intero sistema sociale, politico e finanziario è basato sulla compravendita del tempo che rimane da vivere. Arrivati a 25 anni di età, infatti, uomini e donne cessano d'invecchiare ma a loro disposizione rimangono giusto 12 mesi prima che l'orologio digitale che hanno sul braccio sinistro si azzeri portando la morte. Come evitarla? Guadagnandosi altro tempo. Lavorando, giocando d'azzardo, rubando, uccidendo. Lo scenario che ne scaturisce lo conosciamo bene: per l'immortalità di pochi privilegiati, molti altri devono morire. Un circolo vizioso dal quale il giovane e ribelle Will Salas intende uscire. Ad ogni costo.
Sci-fi d'autore o blockbuster d'azione? Una via di mezzo firmata Andrew Niccol, il regista di "Gattaca" e "S1m0ne", nonché di "The Host", altro thriller fantascientifico in arrivo l'anno prossimo. Come dire, uno che conosce bene il genere e sa metterlo in scena come si deve. Non siamo ai livelli dell'ottimo esordio targato '97, questo va detto; il copione in sé, per quanto affascinante, presenta evidenti forzature ed alcune incognite sono lasciate un po' troppo al caso ma "In Time" rappresenta comunque un intrattenimento di qualità. Un film che si lascia guardare tutto d'un fiato, ben ritmato e confezionato a regola d'arte - la fotografia di Roger Deakins, tanto per dirne una, è già un valore aggiunto - che alterna l'azione adrenalinica (corri, scappa, fuggi. Non c'è tempo!!) ad un messaggio di ribellione neanche troppo velato. Rabbia giovane in salsa bondiana. Un tantino edulcorata, forse, ma comunque metafora efficace di un mondo in cui il libero arbitrio non fa più la differenza, in cui l'essere umano si limita a vestire i panni del piccolo ingranaggio all'interno di un meccanismo corrotto. Un finale meno happy sarebbe stato più congeniale ai contenuti ma ad un autore che si ostina a portare la lotta di classe sullo schermo perdoniamo i compromessi mainstream, come quello di aver reclutato Timberlake e la Seyfried nel ruolo dei protagonisti. Scelta di cassetta che alla fine non sfigura neanche tanto con lui che si danna il giusto e lei che perlomeno supplisce con una discreta dose di sex appeal. Certo, a parti invertite, Olivia Wilde e Cillian Murphy avrebbero potuto far faville ma Gattaca docet: la perfezione è un concetto sopravvalutato. 

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