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The Hit List. Lista di morte

Regia di William Kaufman vedi scheda film

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La recensione su The Hit List. Lista di morte

di fixer
4 stelle

 

Buona parte della cinematografia americana del genere action-thriller hanno in comune un’idea abbastanza interessante. Di solito, inoltre, la prima parte di questi film si lascia vedere con certo interesse a causa proprio dell’interesse insito nell’argomento.

Man mano che i film procedono, si sente, quasi invariabilmente, che qualcosa comincia a scricchiolare. Il racconto comincia a perdere colpi, ci si immette su un percorso iper-inflazionato di inseguimenti mozzafiato, di sparatorie infernali in cui il protagonista riesce miracolosamente a venirne fuori, nel solito intreccio con servizi segreti, CIA nel ruolo di cattivi, nell’ovvio happy end.

Il pubblico che ama questo tipo di cinema non chiede introspezione psicologica, agganci realistici e critici con la realtà, denuncia sociale, imprevedibilità intelligente ecc. A questi film si chiede azione, un protagonista “buono” e uno o tanti “cattivi”. Si chiede inoltre una buona dose di schizzi di sangue, di decine di morti, auto fracassate ecc.

Il film in esame non si discosta da questi cliché. Eppure l’assunto di base non sarebbe così banale. Un “executive” di una grossa società ha alcuni problemi: la moglie lo tradisce, il capo gli preferisce un collega per la promozione, infine, ha contratto un debito di gioco con i soliti loschi farabutti che lo pressano e lo minacciano.

Un bel quadro, non c’è che dire.

Come per incanto, la soluzione dei suoi problemi la trova in un bar dove si è recato per annegare le proprie pene. Un killer, arrivato lì per caso, prende a cuore i suoi problemi e decide di dargli una mano, alla sua maniera, ovvio. Il funzionario, che crede sia tutto uno scherzo, gli consegna su sua richiesta, una lista di cinque persone che vorrebbe far sparire: nell’ordine,il suo capo, quello che gli ha fatto le scarpe, il suo creditore-gangster, l’amico che lo ha tradito con sua moglie e, infine, la moglie stessa.

Il killer, un reduce dall’Iraq che è rimasto contaminato dall’uranio impoverito rilasciato dalle armi americane, è stato assunto dai servizi segreti per eseguire certi “lavoretti” illegali, omicidi, chiaro. Tuttavia, la consapevolezza di avere i giorni contati, lo spinge a ribellarsi agli ordini e decidere di finire quel che gli resta da vivere, facendo lavoretti di sua iniziativa e di suo gusto, come appunto eliminare quelle cinque persone sulla lista. La trama è molto debole nello spiegare i motivi per cui egli decida di uccidere cinque persone che uno sconosciuto gli ha appena indicato. Invece di dedicarsi (e avrebbe più senso) a far fuori chi lo ha mandato a fare la guerra e farsi avvelenare, decide di uccidere cinque nemici che uno sconosciuto che egli si ostina a chiamare amico gli ha chiesto di punire.

Fin qui la prima parte e potrebbe anche essere accettabile. Tutto quel che succede dopo diventa scontato come la pizza la domenica sera.

Sta proprio qui il punto debole di questo tipo di cinema, come si diceva prima. In un Paese in cui la potentissima lobby delle fabbriche di armi influenza anche l’elezione dei presidenti, è normale che l’uso scriteriato delle armi e dell’omicidio al cinema sia parte integrante di un costume nazionale che molti si dilettano a chiamare cultura di frontiera. Ma non è certo il caso qui di dilungarsi in inutili tirate sociologiche o moralistiche. Quel che interessa qui è constatare la bassa qualità di un’intera produzione nazionale, spinta unicamente dalle ovvie esigenze commerciali, ma priva di ogni seria riflessione sulle dinamiche che richiedono l’uso della violenza, in una sorta di cerimonia mediatica che, da un lato, la condanna e, dall’altro, la esalta.

Un attore come Cuba Gooding poi, non sembra neanche a suo agio nelle vesti del killer, mentre, per il resto, è piattezza e banalità.

Talvolta, abbiamo registi, che (oltre che per difendere il proprio prestigio), chiamati a dirigere questi film per pure questioni di sussistenza, trovano il modo di inserire, magari per pochi istanti, un motivo che dà una spiegazione sociale, morale, psicologica a quello che sta avvenendo, introducendo quindi una chiave di lettura meno scontata. Non è che improvvisamente, allora, tutto cambia: il film rimane pur sempre quello che è.

Qui, in questo caso, purtroppo, non avviene niente del genere.

 

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