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C'era una volta in Anatolia

Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film

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La recensione su C'era una volta in Anatolia

di Baliverna
9 stelle

Definire originale il soggetto di questo film è poco; è meglio descriverlo come unico. Non mi ricordo di averne visto un altro che ne tratti. Anche il modo in cui è girato e lo stile sono originali. Al più ricordano certi film dell'iraniano Abbas Kiarostami.
Il regista racconta una storia di ordinaria amministrazione/disperazione con i toni dell'assoluta normalità e quotidianità, nel senso che non sembra di assistere a un'opera di finzione ma agli eventi reali così come sono accaduti. Nonostante il suo andamento per certi aspetti lento, la pellicola cattura l'interesse e stupisce più volte per l'abilità del regista di cogliere l'essenza delle cose e dei personaggi. Ognuno dei protagonisti di questa triste vicenda viene carpito nella sua umanità, nelle sue debolezze, nei suoi crucci interiori, nel suo passato pieno di errori e di rimpianti. Si può anche affermare che certi passaggi non narrativi, che cioè mostrano momenti di silenzio o di inattività, siano anche lirici e molto espressivi dello stato d'animo di chi vi prende parte. Allo stesso modo, anche personaggi secondari, come la figlia del sindaco del paese, appaiono in tutta la loro concretezza e realtà. L'attrazione che esercita sugli uomini del gruppo è più ammirazione per la sua bellezza e innocenza che desiderio sessuale in senso proprio. Sono ammirati e commossi dalla ragazza, che è praticamente un fiore nel deserto, e insieme dispiaciuti per la sua triste vita sacrificata. O forse sta meglio lei di altre che si perdono nella grande babilonia di Ankara o di città europee, e dimenticano il villaggio natio? Il film il dubbio lo lascia.
L'assassino, dal canto suo, autore di un efferato delitto aggravato dalla crudeltà, è più la vittima di una vita sbagliata e di una realà aspra e nemica, che della sola intenzione cattiva che ha animato l'omicidio. Inoltre ha ucciso in un impeto di rabbia e sotto l'effetto dei fumi dell'alcol. Per di più appare visibilmente pentito.
In generale si ha dal film un senso di precarietà e di sofferenza, sentimenti corroborati da un paesaggio naturale brullo e spoglio, fatto di colline coperte di erba secca, e pochi e sparuti alberelli. Le città, coerentemente, sono squallide e grige come non mai. Credo contribuiscano ad esprimere tutta la tristezza di alcuni personaggi, specie il dottore e il poliziotto.
La raccapricciante sequenza dell'autopsia (che non si vede ma si sente...) forse mira, nell'intenzione del regista, a rafforzare il senso di sofferenza e di crudeltà della vita (io tuttavia ne avrei fatto volentieri a meno). E' comunque una sofferenza nobile e composta, rispettosa e forse anelante un riscatto. Un pessimismo che non ha nulla a che fare col cinismo.
In ogni caso è un film che è un esperienza, straordinariamente vero ed umano, che non ha la sua forza in una tecnica particolare ma nel talento e ispirazione del regista, elementi per certi versi impalpabili, ma per altri ben tangibili.

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