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Drive

Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film

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La recensione su Drive

di MarioC
8 stelle

Winding Refn fa noir che spezzano il cuore. Con punteruoli assai contraddittori: sangue che fuoriesce e schizza in assoluta libertà, quasi a disegnare una stilizzata e felice danza macabra, sguardi tra il catatonico, lo stupefatto ed il tenero del suo protagonista (un incredibilmente azzeccato Ryan Gosling). Il ragazzo driver, senza nome, passato e futuro, di giorno meccanico e stuntman, di notte spalleggiatore frettoloso e meticoloso di rapinatori in fuga, sceglie di rischiare sulla roulette del pericolo, spinto da un amore (consumato? Idealizzato? Comunque al di fuori di ogni coordinata spazio-temporale-sensoriale) che ha, come bibliografia e cinematografia impongono, le sue scientifiche conseguenze. “Ne ho visti di uomini che se la fanno con donne sposate; ma nessuno, come te, che rischi tanto per aiutare il marito”. In questa frase sta tutta la cifra di Drive, il suo rovesciamento di generi e stilemi, la genialità un po’ folle di far coesistere, in un personaggio che all’inizio pare soltanto abbozzato in granitica ed impersonale forma, tutto lo spettro dei sentimenti forti ed autodistruttivi di un essere umano.  

A real human being. And a real hero. La bella musica elettronica, palpitante e quasi dolente, accompagna il ragazzo con lo stecchino in bocca nelle sue peregrinazioni, in una notte di Los Angeles che sembra non avere mai fine (non che i giorni assolati siano migliori, si veda la scena della rapina all’agenzia di pegni) Se Céline viaggiava al suo termine, il driver si tuffa a capofitto al suo centro, lasciando il più che fondato dubbio che di stelle, gufi e civette sia fatto anche il suo tessuto interiore. Ma, si diceva, uno stilema non è mai soltanto uno stilema: raccontare un’anima fiammeggiante in un corpo autistico sarebbe sembrato a Refn troppo semplice. Dunque, nell’ottica del rovesciamento di cui sopra, il regista opera con il topos dei topoi: l’amore. In altre pellicole esso sì filo rosso, qui (colpo di genio appunto) elemento disturbante, con i suoi ritmi lenti e pacati, con la tenerezza  e lo spaesamento, con la voglia di fare per l’altro qualsiasi cosa, assecondando il destino che ogni cosa legata ad un’altra reca con sé.

Chi è rana e chi scorpione? Non ha importanza, poiché il volere del fato è tristemente comune. Certo, sappiamo che uno scorpione campeggia iconico ed ironico sul brutto giubbotto del protagonista. È nella sua natura mettersi nei guai, è nella sua natura agire secondo una consequenzialità logica che ha come punto di arrivo l’exitus (soltanto altrui?). Coerenza, e soltanto coerenza: non è questo che impone l’amore? Non ci può essere onestà intellettuale nel trovare facili via di fuga, quando si è scelta l’azione. Pare un minuscolo trattato di esistenzialismo, quello che Winding Refn dipana in una Los Angeles sfavillante eppure tetra, vista dall’alto dei palazzoni e dal basso dei mille Nino che ne infestano la nomea da cartolina.

Scendendo al livello tecnico della questione, poco da dire. Regia illuminata ed a tratti spiazzante: Winding Refn sa come muovere la macchina da presa, conosce i segreti della creazione della tensione, titilla il pubblico con improvvise esplosioni di violenza e successivi squarci di silenzio assordante, in una circolarità che lascia piacevolmente sgomenti. E sa scegliere gli attori: se i comprimari hanno la giusta faccia da cattivi o la rassegnata espressione dei perdenti, Carey Mulligan sembra un pasticcino di marzapane, assaporato il quale rischi (e già) il coma diabetico, mentre Ryan Gosling è, si diceva, semplicemente strepitoso in quel sembrare sempre altrove, eppure avendo quale centro del suo mondo una tignosa ed inflessibile autoderminazione verso la coerenza.

 

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