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Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film

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La recensione su Drive

di mc 5
10 stelle

Ho paura ad usare quella parola. Mi sentirei di farlo ma non oso. Eppure qualcuno l'ha nominata e allora lo farò anch'io. Capolavoro. In ogni caso una delle sorprese più eclatanti della stagione. E ciò senza essere portatore di nulla di innovativo, anzi è il risultato di una somma di elementi e generi che ci sono ben noti. E allora quello che fa la differenza è il tocco straordinariamente geniale di un regista, insieme alle scelte di un cast che più azzeccato non si poteva e -non ultima- una colonna sonora funzionale al massimo. Tutto concorre a creare un'atmosfera che è l'apoteosi del NOIR. Questa Los Angeles notturna popolata di uomini e bestie, di criminali ben più che spietati, è uno sfondo da pelle d'oca. E il film scivola via come una di quelle notti perdute tra rapine, omicidi violenti e inseguimenti in macchina. Un mix incredibilmente suggestivo di action-crime anni 70 e di revenge movie, dominato da un'attitudine NOIR talmente struggente da esaltare ogni cinefilo seduto in platea. Mea culpa: purtroppo la mia ignoranza ha fatto sì che io sia arrivato impreparato all'appuntamento in sala. Nel senso che questo regista danese (Nicolas Winding Refn) non è certo di primo pelo, eppure io l'avevo finora del tutto ignorato. Troppo tardi ho saputo che i cinefili lo apprezzavano già per la trilogia "Pusher" e per il celebratissimo "Bronson" (un supercult). Tutta "roba" che mi son fatto sfuggire ma che ora, alla luce di quest'ultimo suo gioiello, cercherò di recuperare. Le influenze, i richiami, le suggestioni cinefile, sono molteplici e tutti riferimenti "alti". In ordine sparso: Tarantino, Abel Ferrara, Walter Hill, Clint Eastwood, William Friedkin, anche se il nome che aleggia più degli altri è quello del "maestro" Michael Mann. Il film coniuga in maniera mirabile atmosfere dolenti ed inusitate esplosioni di violenza, malinconia e splatter, amori trattenuti non confessati e la furia del revenge movie. Una pellicola destinata ad essere per forza un Cult Movie. E non è male, credo, per un regista appena quarantenne, sfornare un cult movie dietro l'altro...vuol dire che stoffa e qualità abbondano, così come l'attitudine a fare un cinema che, pur non essendo innovativo, è comunque l'antitesi della banalità. Chi ha visto il film sa che ogni singola sequenza possiede gli elementi del cult. Ogni singolo dialogo ha qualcosa di memorabile, sia per le frasi pronunciate che per il talento espressivo degli attori (sguardi, posture, movimenti). Ci sono momenti destinati a restare a lungo fissati nella mente, per esempio l'espressione ansiosa di Christina Hendricks, oppure il faccione assolutamente impagabile di Ron Perlman, ma soprattutto la maschera di lattice che Gosling indossa sul finale per portare a segno il suo "compito". Ecco, diciamo pure che quella maschera è l'elemento più disturbante del film, forse perchè così asettica, impenetrabile, tragicamente muta. In particolare, c'è una sequenza (in cui Gosling porta proprio quella maschera) che ancora insegue i miei ricordi caricandoli di suggestioni d'inquietudine: ed è quando, sullo sfondo di una spiaggia buia dove le tenebre sono squarciate solo dai fari delle auto di passaggio nella strada soprastante, il protagonista insegue a piedi un disperato Ron Perlman che cerca rifugio tra le vicine onde che lambiscono la riva...da brivido, davvero...immagini da antologia del cinema NOIR. Tutto merito di questo talentosissimo regista danese, verso il quale vorrei esprimere un ulteriore apprezzamento. Per non essersi fatto "plasmare" da Hollywood e per aver, anzi, mantenuto intatta tutta la sua personalità artistica d'Autore, la quale si riconosce e si esalta nell'incontro tra struggente romanticismo e cupissima violenza. A proposito di quest'ultima, io trovo che non ci sia compiacimento nè esaltazione in quegli atti efferati, ma bensì qualcosa che somiglia ad una sorta di "esplorazione" della violenza. Ancor più intrigante se associata al corto circuito con "l'umanesimo sentimentale" che pure è presente in questo cinema. Volendo, poi, ci si potrebbe dilettare nell'osservazione di qualche dettaglio curioso, come ad esempio il fatto che il protagonista non ha un nome e un cognome, oppure l'inconsueto rosa shocking che caratterizza i titoli di testa del film. E siamo  giunti al cast. Un RYAN GOSLING superlativo nella sua glaciale postura, e tuttavia intimamente travolto da una tempesta di sentimenti. CAREY MULLIGAN malinconica ma fiera, tenera ma forte, splendida figura di donna ferita. E poi quel paio di "facce da caratteristi" che ci offrono due prestazioni da manuale : BRYAN CRANSTON ( è Shannon, quello dell'officina, povero diavolo) e ALBERT BROOKS (malavitoso che pare uscito dai "Good fellows" di Scorsese). CHRISTINA HENDRICKS (ansiosa ed ansiogena, la bellona spaventata che farà una brutta fine). OSCAR ISAAC (altro ruolo da povero diavolo, uno di quelli nascono sfortunati).  E per finire il migliore di tutti: un gigantesco, sontuoso, RON PERLMAN. Al vecchio Ron la natura ha conferito in dote due cose, di cui una brutta ma che lui ha messo a frutto in modo eccellente: una faccia da scimmione, unita ad un talento d'attore finissimo che andrebbe rivalutato, anche se fatalmente tende a passare in secondo piano rispetto ad un viso così "ingombrante". Un film da non perdere, per nessuna ragione.
PS1: ancora mi risuonano in testa le parole scandite dal protagonista nell'incipit: "Potrai contare su di me solo per cinque minuti. Quello che accadrà un minuto prima e un minuto dopo non mi riguarda. Mi hai capito?".
PS2: le scene delle rapine sono DAVVERO da batticuore.
Voto: 10

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