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Polisse

Regia di Maïwenn Le Besco vedi scheda film

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La recensione su Polisse

di OGM
8 stelle

Ci sono mestieri stressanti oltre ogni immaginazione. Il lavoro degli agenti della Brigade des Mineurs è uno di questi. Trattare, dalla mattina alla sera, i casi di abusi sui minori è una sfida che logora i nervi. Perché l’indagine costringe a scavare nei corpi umiliati e nelle anime corrotte: la verità si ricostruisce solo ponendo terribili domande alle piccole vittime e parlando vis-à-vis con gli autori di certe atrocità. Dall’altra parte della scrivania si alternano gli abitanti di un mondo oscuro, perverso ed incomprensibile, che qualsiasi persona normale avrebbe paura a toccare con mano. Quando si raccoglie la testimonianza viva di un orrore indicibile, eppure appartenente alla vita quotidiana di qualcuno, non c’è professionalità che tenga, e la rabbia non serve. La ribellione interiore cozza contro il senso del dovere, e si infrange, ripetutamente, contro la constatazione che nel momento in cui la legge riesce a intervenire, è quasi sempre troppo tardi.  Troppo tardi per cancellare un trauma che non potrà mai essere dimenticato. E troppo tardi per sciogliere, senza conseguenze tragiche, un legame affettivo che, nonostante tutto, era profondamente radicato: quello tra una ragazzina e il padre che la ama troppo, tra un gruppo di piccoli rom e i genitori che li istigano a delinquere, tra uno sportivo in erba ed il suo allenatore, che con lui era tanto gentile. Non si capisce, razionalmente, né moralmente, il dolore di quella separazione, eppure una sconcertante evidenza costringe a prenderne atto.  Una ragazzina chiede di poter stringere tra le braccia la neonata morta che ha appena partorito, dopo essere stata violentata da uno sconosciuto. Si impazzisce al pensiero che il male, quando supera il limite, possa annientare anche la capacità di opporvisi con l’odio o con il semplice rifiuto.  Il crimine che uccide l’innocenza la trova disarmata. Fred, Baloo, Nadine, Iris ed i loro colleghi poliziotti sono uomini  e donne come tanti, eppure, psicologicamente, sono ormai usciti dai cardini. Affrontare la disumanità che cova nei luoghi più protetti, profanando l’amore parentale e la missione degli educatori, è una prova che distrugge la fiducia nella bontà dell’uomo, e rende impossibile la fedeltà. Senza rendersene conto, si finisce per diventare schiavi dell’impellente bisogno di fare giustizia, di non mollare la presa in quella lotta infernale; e questo demonio vuole per sé ogni attenzione, sottraendo entusiasmo ed energie alla fatica di essere madre, moglie, marito, amante. I protagonisti di questo film sono impegnati in una battaglia indispensabile, che, però, non si può vincere. È uno sforzo che fa  continuamente vomitare bile, senza vedere il mondo migliorare di una virgola. Certi uomini devono scavare, fino in fondo, dentro gli abissi putridi a cui gli altri non osano nemmeno avvicinarsi. E fare progressi significa soltanto veder crescere il marciume  e, con esso, la mole  delle proprie responsabilità. Il dramma è dover curare le ferite, così brutalmente inflitte alla carne umana più tenera, senza poter evitare di affondarvi le dita, per guardarci dentro.   Con questo sconvolgente paradosso ognuno si ritrova a dover fare i conti da solo, e il lavoro di squadra non ne attenua l’infinito strazio.  In questo si film si litiga spesso, e si urla molto, parlando quasi sempre a vanvera, e bestemmiando contro amici e nemici. Ci si comporta come in guerra, quando la situazione è disperata, eppure si è nell’impossibilità di arrendersi. I matrimoni scoppiano, le amicizie saltano, i figli si allontanano, e si perde del tutto il controllo sulla propria vita. Euforia e depressione si susseguono furiosamente come una raffica di spari. Qualcuno, forse, rimprovererà all’autrice e regista Maïwenn di aver realizzato un film dal realismo isterico, che aggira il melodramma per abbracciare la chiassata.  Ma questa deriva è intenzionale; è la forza bruta che tracima dal senso di impotenza e invade la scena come un  fiume incontrollato di parole. Il dialogo è un feroce scontro tra deliri. Ed è il prodotto prorompente di una sceneggiatura finemente articolata, vibrante di sensibilità e ricca di fantasiose sfumature, che fa di quest’opera un’originale espressione femminile della voglia di spaccare tutto.

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