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...E ora parliamo di Kevin

Regia di Lynne Ramsay vedi scheda film

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La recensione su ...E ora parliamo di Kevin

di laulilla
8 stelle

Da un romanzo di Lionel Shriver. Presentato in anteprima al Festival di Cannes 2011, come i precedenti film della Ramsay, ha convinto la critica. La Ramsay è stata candidata a un BAFTA (miglior regista) e ha vinto il British Independent Film Award per la regia, oltre a un premio per la miglior sceneggiatura al Writer’s Guild of Great Britain.

 

Era ancora in fasce il piccolo Kevin, ma già aveva le sue predilezioni e le sue idiosincrasie: si capiva benissimo che non poteva soffrire la madre Eva (Tilda Swinton), forse perché troppo ansiosa, e che tutto il suo affetto era per il padre Franklin (John C Reilly), molto più sereno e compiacente. Era stato proprio Franklin a decidere che, per il bene del pargoletto, si sarebbero trasferiti da New York, dove Eva lavorava, a un piccolo centro in mezzo ai boschi e alla natura, più adatto della grande metropoli alla crescita di un bambino. 

Eva, quindi, per il piccino aveva sacrificato il proprio futuro professionale e la realizzazione di sé, ma non era stata compensata, affettivamente, dal mutare – molto atteso e sperato- del comportamento del figlio nei suoi confronti: l’odio di Kevin, anzi, sembrava raffinarsi col tempo, tanto diventavano feroci i colpi che il piccolo riusciva ad assestarle coll’esplicito scopo di ferirla, con studiata perfidia e con progressione crescente , in parallelo con lo sviluppo del pensiero razionale. La nascita di Celia, la sorellina, aveva ulteriormente complicato le cose, fino a compromettere l’unità stessa della famiglia. 

Alla vigilia del sedicesimo compleanno, cioè nel tempo legale ancora utile per evitare la pena di morte, Kevin aveva organizzato la strage nella scuola, in seguito alla quale era stato condannato a una reclusione di qualche anno, troppo poco, in relazione a una tragedia annunciata e premeditata con cura. Ora Eva (nome non certo casuale), rimasta completamente sola e odiata dai suoi vicini di casa, avrebbe ripercorso, in un continuo avvicendarsi di passato e presente, tutta la sua vita, ricostruendola in una serie di flashback, dolorosamente rivisitandone gli episodi più significativi, e si sarebbe interrogata sui perché dei drammatici fatti, su quello che non avrebbe dovuto fare, schiacciata dai sensi di colpa, che da sempre, di fronte alle immani tragedie familiari si impossessano delle donne, come se il peso del male nel mondo necessariamente dovesse, come sempre e per sempre, essere addossato a loro. Il nome di Eva non casualmente ce lo ricorda. 

 

 

 

 

 

Film tragico e affascinante, che ricostruisce il difficile rapporto tra una madre e un figlio non voluto, eppure accolto con la più grande disponibilità ad amare e a comprendere.


La talentuosa regista scozzese, che è riuscita a coinvolgerci nelle tragiche vicende, anche attraverso immagini molto eleganti di violenta forza coloristica ed espressiva, sembra chiedere anche a noi se il male che si impadronisce dell’uomo abbia davvero sempre e solo spiegazioni psico-sociologiche, alla cui origine è l’affermazione rousseauiana, diventata un luogo comune, secondo la quale l’uomo nasce buono e viene solo in seguito corrotto dall’ambiente che lo circonda.

 

La Ramsay insinua, inoltre, inquietanti dubbi anche su altri luoghi comuni: le presunte gioie della maternità, il dovere della dolcezza materna, la bugiarda serenità della famiglia televisiva, l’innocenza dei bambini, presentandoci una realtà durissima di lacrime e di sangue, che evoca i personaggi tragici archetipici della cultura greco-occidentale, che la retorica familistica sembra aver cancellato dalla nostra memoria.

 

Di eccezionale efficacia l’interpretazione di Eva/Swinton, che riesce con la mimica del volto a rappresentare l’indicibile dei suoi stati d’animo nel tempo, e dei suoi timori. Ottima la performance dei bambini che si alternano, per l'età, nella parte di Kevin, così come quella di John C. Reilly, nella parte paciosa e molto incosciente di Franklin.

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