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...E ora parliamo di Kevin

Regia di Lynne Ramsay vedi scheda film

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La recensione su ...E ora parliamo di Kevin

di giorgiobarbarotta
8 stelle

Tanto sgradevole e destabilizzante quanto coraggioso e riflessivo. Frammentato e scomposto sul piano temporale, sceneggiato con cura, gioca sul doppio filo del dramma puro misto all'horror psicologico. Non fatevi ingannare dal titolo: la pellicola è incentrata su Eva, protagonista assoluta, interpretata magistralmente da una Swilton che si muove su molteplici sfumature per dare spessore ad un personaggio complesso, variegato, interessantissimo. A lei sola una stelletta intera. Madre in qualche modo controvoglia, si accolla comunque il ruolo e l'incarico assegnatole per natura con senso di responsabilità; profonde impegno, si fa carico consapevolmente di limiti e slanci, non lesina in protezione e cura, rinuncia a molto di sé, carriera, ambizioni; si interroga sui segnali di anormalità dati dal figlio, cerca punti di contatto nella diversità, soluzioni ai disagi, passa attraverso la comprensione, la compassione, il tentativo di correzione, prova a impartire educazione e disciplina, gioca la carta ludica, cerca lo stimolo alle passioni e agli interessi personali; fallisce e non si scoraggia, affronta più volte l'umiliazione, attraversa il fallimento del proprio matrimonio, i vari drammatici fatti famigliari, prova l'affondo cercando di contrastare il male di vivere del primogenito, mostro suo malgrado. Ne esce a pezzi. Tensione e inquietudine si tagliano col coltello nel corso di tutta la visione. Kevin entra in scena dopo venti minuti, parla solo dopo altri venti e negli ultimi venti del film tira fuori il peggio di sé, l'essenza incarnata fin da piccolissimo. Nessuna motivazione, solo un'enorme, titanica propensione alla violenza, all'annientamento del prossimo, all'egocentrismo assoluto. Da brividi. Due genitori impotenti, di cui uno, il padre, inetto e superficiale, legato all'idea utopistica di falsa perfezione famigliare tanto da venirne annebbiato e annientato, esce di scena nel modo giustamente peggiore. Molte questioni, nessuna indulgenza, nessuna risposta. Per nulla accomodante, allegorico nella sequenza d'apertura, nel lavaggio delle pareti esterne della nuova casa e nella notte di Halloween, cala il suo asso migliore nella sospensione finale senza riferimenti, appigli o tracce di ipotetica catarsi. Giù fino in fondo, spietato. Prestate ascolto alla bella colonna sonora, opera di Jonny Greenwood (chitarrista dei Radiohead già autore delle musiche de Il Petroliere con Daniel Day Lewis, altra figura di genitore quantomeno anomala): anche qui roba pensante, nient'affatto scontata

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