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Miracolo a Le Havre

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Miracolo a Le Havre

di Peppe Comune
8 stelle

Marcel Marx (Andrè Wilms) fa il lustrascarpe, vive a Le Havre insieme alla moglie Arletty (Kati Outinen) e alla cagnolina Laika e trascorre il suo tempo libero nel bar di quartiere gestito dall’amica Claire (Elina Salo). Al porto viene scoperto un container carico di immigrati provenienti dall’Africa, tra questi c’è il giovane Idrissa (Blondine Miguel) che riesce a fuggire alla polizia e a nascondersi molto bene grazie proprio all’aiuto di Marcel. Il ragazzo deve raggiungere assolutamente l’Inghilterra per ricongiungersi con la madre e Marcel si attiva in tutti i modi per far si ciò si avveri, grazie anche all’aiuto di generosi vicini di casa e a quello del commissario Monet (Jean Pierre Daorroussin) che, mostrandosi tutt’altro che inflessibile, gioca d’anticipo sulle mosse di un viscido delatore (Jean Pierre Lèud). Intanto che Marcel va alla ricerca dei parenti di Idrissa per farsi dare l'indirizzo dove si trova la madre del ragazzo, Arletty scopre di avere un brutto male e di essere prossima alla morte e prega il dottore dell’ospedale dove è ricoverata (Pierre Etaix) di non rivelare niente al marito.

 

 

“Miracolo a Le Havre” è una favola proletaria che sublima in uno scema narrativo a tratti surreale tutto il dramma esistenziale che si accompagna ad alcuni aspetti tragici della nostra modernità. Gli “immigrati clandestini” stipati come animali in container inospitali, la speranza in un domani migliore riposta tutta in una terra straniera, il razzismo strisciante della società del benessere, la marginalità sociale dei senza fissa dimora, il cancro sociale delle malattie terminali, sono tutti problemi dal forte impatto esistenziale che, anziché essere ricondotti alla loro essenza causale per farne la matrice unica di una feroce critica socio politica, vengono epurati del loro carattere drammatico per essere filtrati attraverso gli occhi di chi ha imparato dalla propria precarietà cosa significa saper portare soccorso al dolore muto delle ferite altrui. Si, Kaurismaki li ama proprio tanto questi precari istituzionalizzati, questi uomini che hanno solo una faccia per potersi presentare e neanche più un documento buono per poter certificare la propria esistenza in questo mondo, e ama soffermarsi su quella dignità umana sinceramente mostrata che è nella naturalezza stessa di ogni gesto complice che sanno compiere, aggirare il principio delle loro ansie per presentarceli sempre pronti ad iniziare un nuovo giorno. Marx e Arletty, il rocker sentimentale Little Bob (Roberto Piazza) e il sornione commissario Monet, i bottegai di quartiere Yvette (Evelyne Didi) e Grocer (Francoice Monniè) e gli avventori soliti del bar di Claire, un “vecchio immigrato” come Chang (Quoc Dung Nguyen) e quelli di nuova generazione “ospitati” nei centri d’accoglienza temporanea o il giovane Idrissa, chi aspetta sempre il proprio turno e chi gli basta sapere che un occasione potrà sempre avercela, chi è ancora in cerca del proprio posto nel mondo e chi al mondo non ha più nessuno che potrà venire a cercarlo. Aki Kaurismaki non crede affatto nel dramma della morte, ma nella soave semplicità con cui i suoi bohèmien affrontano senza affanni il gioco imprevedibile del giorno per giorno, consapevoli che è solo il distacco dalle cose a cui si sono seriamente affezionati a determinare la differenza tra un raggiunto equilibrio dei sensi che si è prodotto prima e lo sforzo di continuare a sopravvivere che si conoscerà dopo. Qual è il vero miracolo che accade nella periferia portuale di Le Havre poi ? Il fatto che un ragazzo in fuga trova l’aiuto disinteressato ed appassionato di un perfetto sconosciuto o constatare con disarmante semplicità che tra emarginati sociali basta annusarsi per scambiarsi un aiuto ? L’insperata complicità di un poliziotto tutto d’un pezzo o un tumore sparito come d’incanto ? Chi conosce il cinema dell’autore finlandese sa bene che in tutto questa dimostrazione sentimentale per la parte più emarginata dell’umanità non c’è nulla di consolatorio, che lui preferisce l’ironia alla compassione, la concretezza dell’impegno ai sermoni "moralizzanti" sui drammi esistenziali. Col suo cinema, lui ama spesso sottolineare che la vita è una cosa che vale sempre la pena essere vissuta, nonostante tutto, ed è in fondo questo l’unico miracolo realmente riconoscibile e ragionevolmente condivisibile : perché i fiori saranno sempre bellissimi, i colori seguiteranno a squarciare di vivida luce il grigiore che avanza e il vino non finirà mai per i suoi poeti del disincanto.

 

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