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The Conspirator

Regia di Robert Redford vedi scheda film

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La recensione su The Conspirator

di spopola
8 stelle

La storia si ripete…il gatto morde sempre la sua coda”.

 

Una volta molti anni fa (ma qualcuno se lo ricorderà certamente), c’era un pensiero critico che andava per la maggiore che pretendeva di giudicare il valore di un film soprattutto in funzione dei suoi contenuti quasi disconoscendo l’importanza della forma. Era certamente un metodo non condivisibile, un eccesso evidente di politicizzazione dell’arte,  che ha fatto molte (troppe) vittime illustri che il tempo ha poi fortunatamente riscattato rimettendo ogni cosa al giusto posto. Credo allora però che non si debba incorrere in qualcosa che alla fine potrebbe risultare un procedimento analogo seppure “inverso”, decretando un giudizio altrettanto negativo di fronte a un’opera come The Conspirator” solo perché oltre che “schierata” (e questo è indubbio fin dalle premesse) risulta anche un po’ troppo verbosa e “antica” nella costruzione, che rifiuta ogni vezzo della modernità narrativa tanto in  voga, compresa l’andatura un po’ “sincopata” delle sequenze, preferendo un classicismo lento e monolitico probabilmente superato, ma ideale per “rendere l’idea” e illustrare al meglio la “tesi” propugnata dal regista, visto che i risultati poi alla fine forse non saranno esaltanti, ma nemmeno così tanto “deprimenti” come sono sembrati a coloro che l’hanno giudicata un’opera “fuori dal tempo e dalla storia”.

Rispondo in qualche modo così ai troppi che hanno forse un po’ frettolosamente storto il naso “vinti dalla noia” (e mi scuso se posso sembrare un tantino strafottente), ma per me su certi fatti , è soprattutto un problema di coscienza e non posso allora che infervorarmi nel perorare la causa di un pensiero e di “un’idea” che va salvaguardata.

Concordo anch’io su alcune cose (parlo di una parziale “delusione”), e soprattutto sul fatto che non si tratta certo  di un “capolavoro”. Ma non va disconosciuto  che è una pellicola di forte impatto, che ripropone un cinema civile e militante, con più di una ragione per pretendere il suo spazio, e che meriterebbe anche solo per questo una riflessione più ampia e articolata e non una “liquidazione a saldo” che non è dovuta al tema scelto e alla impaginazione  voluta dal regista, ma credo principalmente motivata da come sono andate le cose nella pratica, senza rispettare le premesse (e gli impegni presi). Mi spiego meglio: nata sulla scia della vittoria di Obama e delle sue tante  promesse non mantenute (come la chiusura di Guantanamo), risulta forse proprio in ragione di ciò un po’ anacronistica e utopica questa uscita  “a scoppio ritardato” che certifica un “niente di fatto” che è ancor più desolante dopo tanti “strombazzati proclami”, e può sembrare un grido nel vuoto, ma non per questo comunque meno utile da considerare e da ascoltare per “valutare” le conseguenze e  trarne un insegnamento e una riflessione.

Certo, un po’ prolisso  e lento, “arcaico” nella forma stantia di una procedura di “racconto processuale” persino un tantino pedante in alcuni tratti: tutto giusto, forse è così, per carità, non metto in dubbio nulla. Ma non è forse poi  proprio questo  il cinema  che più o meno ha sempre fatto  da un po’ di tempo a questa parte un regista come Redford, onesto e artigianale, ma mai un “grandissimo” autore che fa scuola, neppure nei suoi anni migliori, che lavora con diligenza un po’ pignola, sulla scia dei classici, ma non è certo un Eastwood (e forse non lo pretende nemmeno) visto che non ha le sue spiccate qualità inventive e soprattutto gli manca un’analoga capacità di  “aggiornarsi “ ai tempi nello stile pur mantenendo intatta la purezza dello sguardo.

E’ un cinema  impegnato ed eticamente necessario il suo, che fa pensare e riflettere su come non si è mai davvero imparata del tutto la lezione, poiché la storia si ripete e si trasforma (magari, se non proprio in peggio, diventando molto più subdola e sottile nel far  sembrare accettabili  certe “atrocità”). Qualcuno ce lo deve pure ricordare qualche volta, porca miseria: fa bene a farlo ed è doveroso… se non fosse altro che per questo, dovremmo essere grati a Redford,  semplicemente per il fatto di aver avuto il coraggio di mettere il dito in una  piaga ormai putrescente (se il programma di Obama avesse avuto esiti più felici e concreti, se la sua figura fosse rimasta prioritaria sulla scena, magari anche la critica sarebbe stata più benevola con la pellicola, ma i fatti sono quel che sono e non è possibile cambiare un mondo che è dominato dal capitale, dai giochi  di potere e dalle convenienze… si può solo cercare di instillare dubbi ed interrogativi certi, per  tentare almeno di “risvegliare” dall’intontimento qualche mente in letargo, e perché questo accada, basta guardare la definizione che ci viene data dei personaggi, la loro collocazione,  e  ascoltare con altrettanta attenzione le parole).

Magari non c’entra niente, ma mi viene voglia di citare, come giusto corollario  alla premessa fatta, una delle battute conclusive de Lo stato d’assedio di Albert Camus affidata non a caso a un personaggio che si chiama Nada,  rimasto analogo anche nella traduzione italiana e al quale l’autore ha voluto dare il peso simbolico di colui che ormai ha capito tutto e non si piega, un personaggio “anarchico” che ha visto troppe cose, e che nel ripetersi dei fatti che ritornano diversi nella forma ma uguali nel risultato pratico, deluso dall’indifferenza generale che diventa inevitabile acquiescenza, ha il coraggio di dire “NO” e di ribadire fino in fondo la sua totale “NEGAZIONE”    ad ogni costo, il suo non più voler stare al “gioco”, un posizionamento di pensiero già chiaramente enunciato dal suo nome: Eccoli! Arrivano gli anziani, quelli di prima, quelli di sempre, gli impietrati, gli ottimisti, gli agiati, i senza uscita, i rileccati, tutta la tradizione seduta, prospera e ben rasata. Eccoli i sartorelli del nulla: sarete vestiti tutti su misura. Ma non vi allarmate: il loro metodo è il migliore. Invece di chiudere la bocca a chi grida le sue sventure, si chiudono le orecchie. Eravamo muti, diventeremo sordi. Attenzione: ritornano quelli che scrivono la storia. Ricominciamo a curarci degli eroi. Li metteremo al fresco. Sotto la pietra tombale. Non vi lagnate: sopra la pietra la società è veramente troppo mista. Guardate: che cosa credete che facciano? Si distribuiscono decorazioni. Le feste dell’odio hanno sempre ingresso libero, la terra esaurita si copre col legno marcio delle forche, il sangue di coloro che chiamate i giusti illumina ancora i muri del mondo, ed essi cosa fanno? Si auto-distribuiscono decorazioni! Rallegratevi: avrete i vostri bravi discorsi di premiazione (…) I governi passano, la polizia resta. C’è dunque una giustizia possibile che non sia quella della mia ripugnanza? Sì, ricomincerete, è vero, la storia si ripete ma non è più affar mio. Non contate su di me per offrirvi il perfetto colpevole, non ho la virtù della malinconia. O vecchio mondo, bisogna partire o farla finita allora perché anche i tuoi carnefici sono stanchi e  il loro odio è diventato troppo frigido. Io so troppe cose, purtroppo ma nulla è cambiato davvero. E  allora non c’è rimedio perché persino il disprezzo ha fatto il suo tempo.

 

Ecco a cosa “risponde Redford” con questa sua ispirata pellicola: al perpetuarsi delle ignominie, sollecitato a farlo proprio da quella fallace speranza a cui accennavo sopra, che poi non ha trovato alcun riscontro, perché i delitti consumati nei secoli precedenti , novecento compreso, non sono stati  debellati né esorcizzati, si perpetuano ancora adesso in nuove forme e più sofisticate condizioni  fra il plauso incondizionato di una maggioranza sempre più silenziosa e assuefatta ala sistema e soprattutto ben indottrinata, che non ha valori né ideali certi (e questo non  riguarda solo l’America, ma il mondo tutto, e allora allargando un poco l’orizzonte, c’è persino da domandarsi a cosa serva ancora l’ONU anacronistica e fantasmatica presenza, se non a lucrar quattrini e a far fare vita da nababbi ai sui apparati tecnici e “direzionali” visto che per il resto con i suoi veti incrociati e gli opportunismi fa poco e male e se si impegna in qualcosa o delega la NATO a farlo quando proprio sembra che non si possa farne a meno, alla fine fa soprattutto danni).

E’ per tali ragioni che il regista ha scelto di riportare alla luce un fatto tragico degli albori di quella democrazia americana tanto pompata, ficcando le mani in un esecrabile evento, quello  dell’esecuzione capitale dei cospiratori contro Lincoln, per una pacificazione “forzata” (ma per molti necessaria) dopo il prolungato bagno di sangue di una guerra fratricida come quella di Secessione. Perché non importava poi veramente a nessuno sapere se davvero Mary Surratt avesse partecipato o meno al piano per uccidere Lincoln,  visto che tutti pretendevano una “condanna” esemplare e “rassicurante”  e che fosse segnata dal marchio dell’infamia, come lo sono tutte le condanne a morte, o le torture e le detenzioni soprattutto se fatte senza un processo regolare e prove certe e documentate, era del tutto ininfluente allora come adesso.

Un piccolo insinuante “senso di noia” che forse a tratti si avverte seguendo questa storia, non  ha mai danneggiato qualcuno, ed è persino propedeutico se ciò che ci viene proposto è una analisi seria e ragionata dei fatti e dei comportamenti, che sono del passato, ma esposti con un occhio che guarda ed è rivolto a ciò che accade ancora nella contemporaneità di un mondo che ha ormai smesso di ragionare o di essere razionale.

E se in tempo di guerra (o presunto tale), la legge tace, il segno è terribile, tale da confermare una caduta verticale dell’etica e della civiltà.

Redford  non si è rigenerato (ma alla sua età  possiamo anche concederglielo). E’ molto più importante che sia riuscito a portare a termine il progetto fregandosene di un po’ di tedio nello spettatore, che diamine! Mica è tutto è un frenetico videogioco il mondo!  regalandoci questa classicheggiante e di gran classe rilettura della storia (e di un avvenimento del quale dovremmo un po’ tutti vergognarci) che riporta in auge quel cinema liberal che sembrava agonizzante insieme a molte altre cose e che discende in linea diretta da quello dei Martin Ritt, dei Lumet dei Richard Brook (che sono i primi nomi che mi vengono in mente) , dei blacklistati di quella ormai vecchia ma comunque sempre orribile “caccia alle streghe” (e anche la sorte toccata  a Mary Surratt non è certo  qualcosa di molto dissimile dal rogo riservato alle “fattucchiere” dei tempi antichi o alla prolungata proscrizione che ha segnato l’esistenza degli epigoni più recenti).

Niente effetti speciali e roboanti  o esposizioni muscolari di bravura tecnica dunque: solo la forza delle parole e del pensiero, il tutto realizzato con assoluta professionalità e una speciale cura delle ambientazioni (con una resa degli interpreti davvero eccezionale), perché Redford ha messo in scena da par suo e senza far sconti a nessuno, in una cornice storica splendidamente ricostruita,  uno stile quasi da documentario e un assoluto senso della misura,  una macchia di’infamia che è all’origine della perdita dell’innocenza  di una nazione che il tempo ha reso ancora più evidente, ed è assolutamente chiaro che il suo cinema non intende colpire al cuore o giocare sulle facili emozioni, ma pretende forse di provare a far qualcosa di concreto per  tentare di risvegliare le coscienze. E come ho già detto prima, di un cinema di impegno civile come questo se ne sentiva un gran bisogno.

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