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Real Steel. Cuori d'acciaio

Regia di Shawn Levy vedi scheda film

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La recensione su Real Steel. Cuori d'acciaio

di nickoftime
8 stelle

"Real Steel" è un film circoscritto all'interno di un universo maschile. Anche il robot, Atom, nelle sue caratteristiche morfologiche e di potenza non sembra fare eccezione. Con lui ci sono  un padre ed un figlio, costretti a condividere la vita dopo l’improvvisa morte della madre. Amore a tempo determinato, quanto basta per aspettare il ritorno dei parenti, al quale il piccolo è stato affidato per indisponibilità paterna. A rompere gli indugi la necessità di guadagnarsi da vivere attraverso gli incontri di Robot boxe, la disciplina che nel 2020 ha sostituito gli esseri umani con le macchine. Ad attenderli  ci sarà addirittura  la scalata al titolo mondiale, con la possibilità di affrontare l’invincibile detentore.
 

Costruito su una  progressione che assomiglia ad un videogioco, con difficoltà destinate a crescere con il passare dei minuti, e caricato di un immaginario che fa coincidere il riscatto sportivo con quello personale, alla maniera di film come Rocky ed ancor più Over the top - ricordato da vicino non solo nella replica del contesto familiare, anche lì privato della figura materna, ma anche per le somiglianza tra i personaggi interpretati in questo da  Hugh Jackman ed allora da Silvester Stallone - Real Steel aspira ad essere qualcosa di più rispetto ad un intrattenimento al passo con le mode del momento, quella dei  robot mutaforme alla maniera dei  Transformers.
 
Prodotto da Steven Spielberg ed ispirato ad un racconto di Tim Matheson (I’m legend), il film è in realtà un storia di formazione  che, attraverso le difficoltà ed anche  i pericoli che padre e figlio si troveranno ad affrontare, riesce a parlaci della precarietà dei rapporti familiari, ma anche della possibilità del singolo di cambiare la propria vita. Lasciando che lo spettacolo faccia il suo corso in maniera routinaria nei combattimenti che scandiscono la strada di avvicinamento all'incontro decisivo, il regista Shawn Levy  si preoccupa di costruire un contraltare psicologico ed emozionale lavorando sulle performance attoriali  e sull’empatia dei personaggi.

Ed è proprio la capacità di rendere credibile  la progressiva presa di coscienza del padre rispetto alle proprie responsabilità,  e nel bisogno d’amore soddisfatto dal bambino nel rapporto con  il robot, da lui  trasformato in un compagno di giochi - ad un certo punto  la macchina da presa soffermandosi sul primo piano di Atom sembra quasi adombrare l'ipotesi di una coscienza - a ristabilire gli equilibri di un prodotto che accontenta anche il cuore. In questo senso il film riesce anche a supplire l’impiego ridotto della componente femminile ed in particolare di Evangeline Lilly, ancora alla ricerca di una dimensione cinematografica e qui impegnata in una performance ridotta a poche battute. Nulla a che vedere con quelle  ben più corpose dei suoi colleghi, impegnati a dar fondo alle proprie risorse, anche fisiche, offerte dai  rispettivi ruoli. Il finale lascia intendere ulteriori seguiti.

 

(pubblicata su Roma giorno e notte.it)

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