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This Must Be the Place

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su This Must Be the Place

di pippus
8 stelle

Il contrasto tra lo stadio avveniristico di Dublino sullo sfondo e le modeste villette in primo piano è assolutamente magistrale. In questo contesto si muove Cheyenne, ex rockettaro ormai fuori dal tempo che vive una pingue esistenza al rallentatore. Deambula instabilmente ma gioca a squash in una piscina che tale non è mai stata, in quanto non ha mai contenuto una goccia d'acqua; la sua mente pare obnubilata da pensieri nostalgici per un trascorso che gli ha prosciugato ogni energia (degna di nota la domanda rivolta alla moglie con tono strascicato: " Perché hai permesso a un architetto di scrivere cucina sopra la cucina? Lo sapevamo già che quella era la cucina")!

Tutto nella sua vita si muove lentamente, e lui non vuole cambiamenti, vuole fermare il tempo sfuggendo anche coloro che ancora lo riconoscono. Qualcosa nella sua psiche gli impone questo st.by, almeno fino a quando gli arriva la notizia del padre che versa in fin di vita negli States. Questo padre che è sempre stato assente ma che ora, dipartendo per l'aldilà prima del suo arrivo, gli ha lasciato in eredità il compito di trovare colui che da sempre aveva cercato di trovare, senza però riuscirci: un ex SS che durante la prigionia in quel di Auschwitz era stato la causa di quello che, a quanto emerge, si rivelerà il tormento di una vita trascorsa con l'unico  scopo di portare a termine quella che reputava una giusta vendetta. Cheyenne non ha idea in cosa sia consistita l'azione dell'SS, ma non ha importanza, le SS non andavano per il sottile con i prigionieri, e questo è il presupposto per poter agire, qualora si trovi il colpevole, in modo drastico.  A tal fine si ripropone (con l'ausilio di alcune persone fidate ed esperte nel settore) di rendere giustizia postuma al padre, quasi che, così facendo, si possa recuperare un legame affettivo la cui assenza brucia da sempre. Tralasciando la trafila degli incontri e stratagemmi per scovare il sadico individuo  (eccezionale la scena della location dove quest' ultimo conduce la sua esistenza), sorprendentemente emerge che l'ex SS non era poi stato così sadico. Quello che ormai pare essere un innocuo vecchietto, all'epoca, svolgendo una mansione probabilmente da lui stesso poco ambìta, aveva approfittato del suo ruolo non tanto per effettuare chissà quale efferata azione nei confronti del prigioniero, ma per umiliarlo con una banale risata fuori luogo. Questo non era stato previsto da Cheyenne, si aspettava di doverlo eliminare fisicamente ma, dalle parole di quest' uomo avanti con gli anni, comprende che, come Seneca insegna, la saggezza non è proporzionata all'età. Il padre non era stato un paladino di saggezza quando lui era ragazzino e, a quanto pare, non brillava di tale dote nemmeno in tarda età. Dopo tanto tempo sarebbe stato opportuno soprassedere e, trovato l'"aguzzino",  constatare che nonostante il contesto in cui l'offesa era avvenuta - che sul momento era parsa così caustica - a distanza di decenni doveva e meritava di essere rivalutata attraverso la lente del buon senso.  Ma la stoltezza di alcuni è incorreggibilmente senza speranza, e questa constatazione sta all'origine del cambiamento di Cheyenne. E' questo il momento per resettare il suo status mentale aggiornando il "timer" a una più consona cronologia del suo vissuto; questo era il freno che ne impediva la fluidità di pensiero. Convertita l'intenzione iniziale di vendetta capitale in una seppur tardiva e innocua umiliazione, ora i conti sono in pareggio con l'offesa nazista subìta dal padre. Cheyenne/Penn torna a casa lasciandosi finalmente alle spalle quell'icona ormai patetica, ma al tempo stesso l'unica, nella quale l'inconscio gli permetteva di specchiarsi.

Grande scenografia, fotografia e colonna sonora con sceneggiatura non convenzionale ma perfettamente idonea alla particolarità del personaggio.

 

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