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Melancholia

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Melancholia

di Trismegisto
9 stelle

Di Melancholia è di una bellezza impressionante l’inizio, con quelle sequenze rallentatissime: fotografia sfolgorante e surreale, e il preludio di Tristano e Isotta che poi ricorre per tutto il film. Che in realtà è doppio, e le due parti non paiono a prima vista così ben collegate, a meno di scorgere il nesso nella depressione della protagonista, che una volta sarebbe stata appunto classificata come melancholia e che trova una sua corrispondenza macrocosmica almeno nel nome del misterioso pianeta che – evento astronomi-camente del tutto improbabile – provenendo da lontananze extrasolari viene a schiantarsi sulla Terra, anzi proprio a inglobare e risucchiare il nostro pianeta in un abbraccio e fagocitazione mortali, perché il pianeta bellissimo e assassino, e anche esso azzurro, è molto più grande della Terra (proprio come l’atrabiliare Saturno, che forse in questo senso avrebbe avuto più titoli e diritti di precedenza, storici e culturali, per schiantarsi sul nostro pianeta). L’impatto è mostrato all’inizio, e il preludio straniante del Tristano conferisce all’evento, che di per sé sarebbe pura e definitiva catastrofe, una luce ammaliante, di incubo lento e avvolgente, capace di una fascinazione che ti fa arrendere attonito al cupio dissolvi del mondo. Lentissimi i due corpi celesti si avvicinano per l’ultimo incontro e, dopo diverse evoluzioni di danza macabra sulla musica di Newton, si indovina per qualche secondo il caos delle atmosfere in collisione, le tempeste spaventose che viste dallo spazio appaiono come innocue evoluzioni di filamenti gassosi, poi la Terra penetra interamente nel gran corpo dell’alieno, e in una gran luce avvengono la conflagrazione e la fine dei tempi. Per tutto il preludio le immagini sono lentissime, quasi un analogo terreno dell’apparente lentezza degli eventi cosmici, e come a tuffare anche le vicende umane in qualcosa che è insieme sospensione onirica e figura dell’inesorabilità, dell’ultimo atto che è lì nel cielo sotto forma di un enorme cerchio azzurro, meraviglioso, che si avvicina sempre più, ormai a vista d’occhio. Si vedono un cavallo che cade sulle zampe posteriori, una donna che cammina in un campo da golf, ma affondando stranamente come se il prato verde fosse trasformato in un fango tenace, la stessa donna che alza le braccia e dalle sue dita scoccano archi voltaici, piccoli fulmini uguali a quelli che s’innalzano dai vicini tralicci, e puntano verso il cielo.

Poi il preludio termina, avviene l’impatto e inizia la narrazione: che nella prima parte è quella di un più che problematico pranzo di matrimonio, al quale gli sposi arrivano con due ore di ritardo, e in cui la madre della sposa raggela tutti i convitati con un discorso contro il matrimonio, in presenza dell’ex marito, un vecchio gaudente intervenuto con un paio di amichette, e la sposa dà chiari segni di insofferenza per il marito innamoratissimo, ha un attacco di depressione e si va a fare un bagno caldo mentre tutti la aspettano per il taglio della torta, e infine si accoppia in giardino con un giovanotto al quale il datore di lavoro di lei, pubblicitario, che era anche il suo testimone, aveva dato l’incarico di farle inventare entro la fine della serata uno slogan buono per la loro ultima campagna. Niente slogan, ma in compenso lei solleva quanto basta l’abito da sposa e poi la si vede agitarsi sul corpo del ragazzo, chiaramente alla faccia del marito e avendolo lasciato da solo in camera subito dopo averlo aizzato invano all’amplesso (perché tanta malvagità?). Arriva l’alba, tutti se ne vanno, anche il marito disperato va per la sua strada e non se ne sentirà più parlare, e inizia la seconda parte, intitolata Claire (la sorella della sposa), mentre la prima era dedicata a Justine (la sposa; qualche allusione nel nome?).

La seconda metà del film si svolge nella villa principesca dove Claire vive col marito e col loro bambino, e in cui si trasferisce Justine che, ormai in preda alla depressione, non riesce a far più nulla, nemmeno prendere un taxi o entrare in una vasca da bagno. Ma alle vicende umane inizia a interpolarsi l’ingombrante evento cosmico che, lento e inesorabile, le trascinerà nel suo gorgo, sempre sulle note struggenti di Tristano e Isotta. Dapprima una stella più luminosa delle altre, poi una seconda luna azzurra, poi l’enorme palla nel cielo, e ora è la sorella Claire a cadere nell’angoscia e a disperarsi, mentre Justine recupera una strana calma, che sembra la stessa dei due cavalli che dapprima scalpitano nervosi nella stalla, poi d’improvviso smettono di agitarsi, come per una serena ma inconsapevole adesione istintiva alla fine imminente, quando sta iniziando l’ultimo precipizio della Terra nel ventre del luminoso mostro. Justine dichiara di sapere con certezza – per le stesse vie misteriose che le avevano rivelato quanti fossero i fagioli nel sacchetto durante la lotteria al pranzo di matrimonio – che quella che sta per scomparire è l’unica forma di vita in tutto l’universo. E sembra essere proprio questo a rasserenarla, a guarirla dalla melancholia, come se il male fosse intimamente radicato in quest’unica luce di coscienza nel deserto degli spazi, e una volta spazzati via i loro portatori l’universo ne fosse purificato e redento. Così cerca a sua volta di tener calma la sorella che invano tenta di scendere in paese con un’auto elettrica che subito si ferma per le stesse perturbazioni elettromagnetiche che fanno scoccare gli archi voltaici dai tralicci e dalle dita, e con lei e col bambino costruisce un simbolico riparo di rami, simile alla armatura di una tenda indiana, e rifugiatisi sotto di esso assistono all’ultimo spettacolo, spaventoso e ammaliante, del pianeta che si avventa sulla Terra, crescendo fino ad occupare tutto il cielo, che si fa bianco mentre si indovina l’imminente onda d’urto. È curioso come la fine del mondo sembri riguardare esclusivamente questa ricca famiglia, mentre non si sa nulla su come prenda la cosa il resto dell’umanità, con la sola eccezione di qualche sito internet, in cui si mostrano schemi delle orbite catastrofiche del nuovo astro, e che il marito cerca di impedire a Claire di consultare, perché troppo allarmistico. Si capisce soltanto che gli scienziati cercano di minimizzare raccontando che l’impatto non avverrà, ma che in realtà devono essere certi del contrario. Siamo esattamente agli antipodi della gran cagnara mondiale che si sarebbe fatta in un film hollywoodiano su uno scontro tra la Terra e un altro pianeta, e inoltre lì si sarebbe comunque trovato qualche yankee risoluto che all’ultimo momento avrebbe salvato il mondo, e poi si sarebbe ritirato con la sua bella prima dei titoli di coda, e intanto una bella famigliola americana, superate le vicissitudini cosmiche e anche quelle personali, si sarebbe felicemente ricongiunta. Qui invece ci sono soltanto le due sorelle, il ragazzino, il marito di Claire che si suicida nella stalla col veleno che la moglie teneva in serbo per se stessa quando comprende che la fine è vicina, e i due cavalli rassegnati. E naturalmente il pianeta Melancholia, che sembra aver raggiunto il sistema solare solo per consacrare il nichilismo cosmico di Justine col suggello definitivo della Necessità.

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