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L'industriale

Regia di Giuliano Montaldo vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su L'industriale

di alan smithee
6 stelle

Torino oggi: citta’ elegante ma spettrale, avvolta in un grigiore che smorza ogni tonalita’ vitale, in sintonia con la crisi che sta piegando tutto il settore industriale che e’ ancora rimane in piedi, forse per inerzia, forse per ragioni emotive. Una fotografia eccezionale esalta il chiaroscuro e un grigiore che penetra nell’animo afflitto (per varie ragioni) dei diversi personaggi che popolano la pellicola.
Un imprenditore quarantenne accede titubante, ma ancora speranzoso, ai sontuosi palazzi del credito in una affascinante e deserta Piazza San Carlo: edifici sfarzosi e imponenti come si conviene alle alte direzioni che manovrano i destini dell’economia, o di quel che ne e’ rimasto. Viene accolto con la freddezza che si riserva al nemico ormai in trappola, con lo sdegno che si comunica a coloro che hanno visto naufragare gli ambiziosi progetti per molteplici cause, e che tutto sono disposti a patire tranne la sufficienza e la derisione di chi non ha mai prodotto nulla e che pretende di farti pure la predica.


La soluzione si trova solo con le garanzie giuste, che in questo caso ci sarebbero anche, se non fosse per l’orgoglio del capo azienda di non veder coinvolta la ricca famiglia della moglie, sprezzante e sempre rigida e poco disposta ad assecondare le strategie imprenditoriali del giovane imprenditore. Una nobilta’ feudale fuori tempo massimo che vuole aiutarlo purche’ gli si riconosca la supremazia e si ammetta la propria inettitudine.


Il film, girato classicamente molto bene e scritto con ispirata partecipazione e un buon piglio da ottimo prodotto televisivo di qualita’, vive i suoi momenti migliori quanto ci documenta i rimorsi del protagonista per una sconfitta che non e’ facile accettare, quando solo pochi anni prima si ricoprivano posizioni di prestigio ai vertici della categoria: ci sono settanta famiglie che si trovano in bilico, gente che lavora in azienda da oltre un trentennio, persone che hanno contratto obbligazioni molto impegnative per affrontare gli investimenti fondamentali di una vita. Se il castello cede frana tutto quanto e il crollo e’ destinato a conseguenze devastanti. Conseguenze che impantanano la mente del nostro protagonista, sempre piu’ ombroso, scostante ed indifferente nei confronti della bella moglie, architetto per passione piu’ che per necessita’, che lo ama ancora e vorrebbe proprio per questo aiutarlo, disposta ad affrontare assieme a lui le insidie di questa sfida impari e senza soluzione apparente.


Il buon avvio e la spigliatezza di una sceneggiatura asciutta e senza fronzoli ne’ passi falsi, cede tuttavia sempre piu’ al sentimentalismo e addirittura all’intrigo giallo non appena il lato familiare fa capolino e usurpa prepotentemente spazio narrativo al cuore della vicenda, snaturando o togliendo efficacia al complesso dell’opera.


Un cast di prim’ordine capitanato da un Pierfrancesco Favino attivissimo in questa stagione, qui ispirato e coinvolto in un’interpretazione che gli consente di manifestare ulteriori nuove sfaccettature dopo le intense prove nei film di Sollima e Verdone (e presto ancora nel nuovo atteso film di Giordana), rende comunque l’operazione valida e non sprecata. Certo la casta storia dell’innamoramento della pur brava e seducente Carolina Crescentini  nei confronti del garagista rumeno carino e un po’ artista (costruisce oggetti curiosi con i tappi dello spumante…) e ancor piu’ l’improvvisa svolta gialla con il morto ammazzato (seppur incidentalmente) sono forzature che un regista e sceneggiatore cosi’ illustre avrebbero dovuto avere l’accortezza di evitare, cosi’ come la risibile messa in scena impostata per fregare i crucchi aguzzini nel ristorante nipponico mi pare piu’ coerente con una commedia leggera che con lo stile rigoroso e serio che il film nella sua prima meta’ stava portando avanti con buoni risultati.

 

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