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La fabbrica di bare

Regia di Jan Svankmajer vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La fabbrica di bare

di FABIO1971
8 stelle

Rakvickárna, gioiello animato in stop motion e quarto cortometraggio realizzato da Jan Švankmajer, si apre meravigliosamente con l'esibizione, mentre scorrono i titoli di testa del film, di un'orchestrina di scimmie ghignanti, accompagnate dalle musiche di un organetto (magnifica la colonna sonora, tra melodie diffuse da pianole meccaniche, reiterazione cacofonica di rumori ed orchestrazioni, curata da Zdenek Liška). Poi, ingranaggi, quadri di vita familiare, lavoro, genitori, figli, scuola, musica, tempo libero, arte, fanciullezza, giostre: è lo spettacolo del ciclo della vita, inscenato su un piccolo palcoscenico, dove due marionette, improvvisamente animate dalla finzione artistica, si ritrovano a contendersi il possesso di un criceto, incapaci di confrontarsi se non attraverso prevaricazioni reciproche e violenza, che sostituiranno ben presto drammaticamente i loro illusori convenevoli iniziali (come nel film d'esordio di Švankmajer, L'ultimo numero del signor Schwarzewald e del signor Edgar). Su uno sfondo indiavolato composto da litografie, antiche stampe, ritagli di giornale, elefanti, scarafaggi, scheletri, queste due maschere della tradizione teatrale boema, dopo aver tentato inutilmente di contrattare l'acquisto del criceto, si sfidano a suon di bastonate, chiodate ed inganni. Ed ogni volta che credono di aver prevalso sull'avversario seppellendolo definitivamente in una bara, la loro diabolica astuzia (e, di riflesso, la loro stupidità) li rimette inaspettatamente in gioco, senza alcuna possibilità di una tregua che non coincida con la reciproca distruzione...
La guerra, quindi, il ciclo della vita, fino alla morte, allegoricamente rappresentati dalla bellicosità dei due contendenti e dal loro distruttivo duello ed in cui l'animale per cui si battono (la cavietta, reale, rimpinzata continuamente di cibo dalle due marionette), invece, assiste indifferente alla loro contesa (l'unica azione che compirà sarà soltanto la sua uscita di scena finale, dopo che le mani dei burattinai hanno riposto definitivamente le due marionette nella bara). Ritmo travolgente, irresistibili graffi satirici, tra beffardo humour nero e quel sottile velo d'inquietudine che la manipolazione slapstick dell'azione traduce in guizzi stranianti, trasfigurazione simbolica del dettaglio, la magistrale ed esemplare raffinatezza delle animazioni, i tagli impeccabili del montaggio (curato da Helena Lebduskovà e Hana Walachovà), la reiterazione ossessiva di gesti e movimenti fino alla variabile (im)prevedibile (la morte) che ne conclude logicamente la meccanica ripetizione: un (altro) piccolo capolavoro del geniale artista boemo.

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