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Womb

Regia di Benedek Fliegauf vedi scheda film

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La recensione su Womb

di Stuntman Miglio
8 stelle

Difficile immaginare un gesto d’amore più estremo di quello raccontato in “Womb”. Potere della nuova tendenza sci-fi, quella filosofica-autoriale in grado di trattare generi ed argomenti estremi, sempre ad un passo dal dilemma etico/morale. Fra quelli visti, penso ovviamente a “Moon” ma anche ad “Another Earth”, “Non lasciarmi”, “Gattaca” e altri (magari “Inception”, perché no?). Copioni brillanti al servizio di giovani registi di talento che hanno saputo affrontare un genere rischioso facendo tesoro dell’impronta lasciata da maestri quali Tarkovskij o Kubrick. Nella maggior parte dei casi, le loro sono soluzioni futuristiche applicate a piaghe contemporanee. Artifici narrativi che danno nuova vita a situazioni che altrimenti andrebbero a svilupparsi e chiudersi in maniera più convenzionale e quindi prevedibile. Prendiamo ad esempio il film di Benedek Fliegauf, il concept alla sua base risulta piuttosto semplice: Rebecca e Thomas s’innamorano in tenera età, si aspettano a vicenda nonostante la vita li allontani l’uno dall’altra e, quando si rincontrano dopo diversi anni, nulla è cambiato, la magica sintonia è rimasta inalterata ma lui rimane improvvisamente ucciso in un incidente stradale prima che il loro sentimento possa evolversi in qualcosa di più grande. Incipit straziante ma, in fin dei conti, già visto. Ed è qui che scatta l’intuizione. Rebecca, anziché elaborare il lutto, opta per farsi fecondare con il dna clonato della sua anima gemella affinché possa quindi dare alla luce un nuovo Thomas. Una “copia” per ingannare la morte e per concedersi una seconda, disperata, possibilità per amare ancora ed essere amata. Un punto di vista audace, opinabile, ma allo stesso tempo interessante e gestito con intelligenza nonostante i notevoli rischi di (pre)giudizio insiti nella scelta della protagonista. Una pellicola densa, sospesa, giocata quasi interamente sull’attesa, sulla speranza e sul dubbio. Costruita su silenzi, sguardi e allegorie, inscenata al di fuori della civiltà, in un luogo che pare al confine di un mondo che non è il nostro. Strepitosa in tal senso la fotografia contemplativa ed il lavoro del regista sulle immagini e sui simboli, strutturati quasi a suggerire un contesto futuro, senza bisogno di effetti speciali o riferimenti didascalici. Stesso discorso per tutto quello che avviene al di fuori dell’anomala dinamica di coppia, le azioni e soprattutto le reazioni di chi li circonda sono intrappolate in sequenze fugaci ma significative, dando così la giusta importanza al quadro generale ma senza mai perdere di vista il fulcro dell’opera che rimane l’amore. Impuro ed interessato ma inarrestabile. Maiuscola la prova degli interpreti, in particolare quella di Eva Green alle prese con uno di quei ruoli che valgono un’intera carriera. La sua è una madre vergine d’inquietante bellezza e spietata determinazione.

 

 

 

 

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