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The Iron Lady

Regia di Phyllida Lloyd vedi scheda film

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Enrique

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La recensione su The Iron Lady

di Enrique
6 stelle

The Iron Lady è una retrospettiva intimistica che si concede al mesto ricordo (di un’epoca anch’essa mesta). ma con estrema prudenza, onde sottrarre, all’incipiente delirio della senilità, qualche sparuto momento della giornata (e della notte) dell’unica ex premier del UK.
Il film della Lloyd è, per vero, onesto; non agiografico, né di condanna. E la Streep (ma la Di Meo non è da meno) rende il personaggio alla perfezione (ça va sans dire). Eppure l’ “inghippo” si avverte già dalla prime scene, dove prevale la logica del disorientamento e della confusione mentale. Perché i fantasmi che popolano i pensieri della iron lady non sono quelli provocati dalla sua rigidissima politica conservatrice (ma liberista), bensì solo quelli del caro estinto Denis (il marito devoto, da “Maggie” mai amato quanto il Potere).
Poi, sì, arriva anche il turno di “tutto il resto” (ovvero, sinceramente, quello che ci si sarebbe aspettati di vedere). Il collasso del Welfare state; i moti di piazza; gli scioperi ed il disagio sociale che esplode; l’IRA e le sue stragi… Echi di una politica dura e controversa, che si odono appena da dietro il vetro spesso di un auto blu e che alla Lloyd sembrano interessare poco.
Il ritratto pubblico della “figlia del droghiere” (altro gentile epiteto con cui era conosciuta la Thatcher) è un mosaico di flash confusi e sbiaditi.
La sua pragmatica filosofia di vita viene vigorosamente “strillata” in più occasioni, ma, più che i frutti (quali, d’altronde, a parte la vittoria nella guerra delle Falkland?), alla Lloyd interessa, piuttosto, soffermarsi sulle debolezze di una donna che, ottuagenaria, ha perso lo smalto dei bei temi andati.
Per la serie: anche l’ “ovvio” vuole la sua parte…
Dunque, non un brutto film, nè eccessivamente remissivo, timido o impersonale quello della Lloyd. Semplicemente un po’ troppo educato, oltrechè focalizzato sull’oggetto sbagliato.
Tanto (anzi, troppo) “oh mia adorata Maggie” (e “oh mio adorato Denis”) e poco thatcherismo.
Un difetto grave, ma non imperdonabile.

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