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Tomboy

Regia di Cèline Sciamma vedi scheda film

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La recensione su Tomboy

di lao
8 stelle

NIENTE DOMANDE PER FAVORE

Sta male a  Laure il vestitino blu che la madre l’ha costretta ad indossare: lei  ha un corpo esile, aggraziato, guardandola in viso non sapresti dire se è femmina o maschio, eppure è bellissima nella sua indeterminatezza. Pare una creatura  partorita appositamente sullo schermo da una macchina da presa per farne la protagonista di un film sull’inafferrabilità della natura e sui goffi tentativi di noi uomini di metterle addosso abiti preconfezionati per irreggimentare ciò che non è definibile. E’ in realtà una delle molte facce del  conflitto arcaico fra innocenza della natura e colpe della civiltà quella mostrata  dalla trentatreenne Cèline Sciamma in “Tomboy”, suo secondo lungometraggio: Laure cambia con la famiglia città o quartiere, deve iscriversi alla prima media, ma ai  nuovi amichetti e alla coetanea  Lisa si presenta come Mickael e si comporta di conseguenza come ci si aspetta da un maschietto; non  sembra avere un motivo serio,  può essere la voglia di provare o il gusto gratuito della provocazione, chissà.  La vicenda, dagli esiti potenzialmente drammatici, ha  per quasi tutto il tempo il tono e i colori dell’idillio: la vita familiare di Laure è serena, i genitori  la rispettano e l’adorano, la sorellina Jeanne è sua complice,  e l’amica del cuore ingannata prima o poi la perdonerà.

 “Tomboy” non racconta di fatto una storia né delinea un ritratto, bensì estrapola dalla vita di una bambina alle soglie dell’adolescenza un momento particolare di sospensione: siamo in agosto, in famiglia si attende un bambino,  e il clima vacanziero consente, senza eccessivi rischi,  il gioco dello scambio di identità. Ma il fascino acerbo di Laure evoca un grumo di emozioni ben più profonde e incontrollabili della semplice voglia di trasgressione ludica; e non solo in lei, ma anche in chi crede al suo travestimento e quasi si innamora.  Tanto più la negazione di una parte di sé nella ragazzina va presa sul serio quanto più ha ragioni imprecisate: parlare di omosessualità, di repressione, di  educazione fallimentare in “Tomboy” significa non coglierne il senso. Forse questi fattori non sono da escludere nella personalità della protagonista, forse domani lei si sentirà attratta dal suo stesso sesso, tuttavia il cuore della pellicola non è né una presa di coscienza né una ribellione consapevole.  Il film infatti si ferma molto prima, al momento più delicato dell’esplorazione, quando cioè l’istinto brancola ancora nel buio prima di imparare ad adattarsi a ciò che l’utopia sociale, nel bene o nel male, esige. “Perché lo hai fatto?” chiedono sorpresi a Laure;  lei non risponde,  guarda  allo specchio l’immagine di sé quella che di domande non ha bisogno.

Per confronti e percorsi culturali suggeriti dal film cfv mio blog: http://spettatore.ilcannocchiale.it/post/2685499.html

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