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Un poliziotto da happy hour

Regia di John Michael McDonagh vedi scheda film

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La recensione su Un poliziotto da happy hour

di OGM
8 stelle

Non credete al Poliziotto da guinness. Che adesso, tra l’altro,  è diventato un Poliziotto da happy hour. E soprattutto voi, sostenitori delle Scuole di polizia e dei Poliziotti Superpiù, non cascateci: quello ordito dai titolisti italiani nei vostri confronti ha i contorni di un autentico complotto. Vogliono attirarvi al cinema con l’inganno, per propinarvi una pellicola che è tutto fuorché pane per i vostri denti. The Guard è un film amarissimo, e per niente semplice. E c’è davvero ben poco da ridere. Difficile è, soprattutto, capire, a prima vista, se il sergente Gerry Boyle (Brendan Gleeson), corpulento agente dal forte accento irlandese, sia un uomo fallito, un personaggio surrealmente ingenuo, o soltanto un professionista smisuratamente appassionato del proprio ruolo di guardiano della giustizia.  Persino il funzionario dell’FBI Wendell Everett (Don Cheadle) ammette di non saper decidere  se il suo collega britannico, che racconta di essersi recato negli USA solo per visitare Disneyworld ed incontrare il suo beniamino Pippo, sia motherfu**ing dumb oppure, al contrario. motherfu**ing smart. Il dramma è tutto in Gerry, irrimediabilmente sospeso tra la trasparenza e il sotterfugio, tra la tolleranza e il pregiudizio, tra la bonarietà di paesano e il più spietato cinismo. Forse non può essere diversa la personalità di un individuo che è chiamato ad intervenire in tutti i luoghi in cui, insieme ai delitti,  si collocano i crocevia della morale, con la loro sconcertante carica di ambiguità:  le messe in scena, i doppi giochi, i depistaggi sono la faccia malata del mistero, sono gli elementi tipici dei gialli maligni, che si fanno  crudelmente beffe di coloro che cercano di risolverli.  Gerry gestisce a suo modo un mondo sbagliato, pieno di dolore e di violenza: al caos che confonde la mente e mina tutte le certezze, egli ama opporre la chiarezza dell’istinto e le plateali verità incapsulate nei cliché: in questo senso, è un uomo forte, libero e sicuro, perché i suoi principi non si basano sul labirintico complesso delle leggi scritte, bensì su una manciata di convinzioni visceralmente radicate. Gerry è fermamente determinato nel seguire gli impulsi del corpo e dell’anima, perché il bene e il male sono una questione di punti di vista, e il suo è l’unico che possa logicamente prendere in considerazione. Le sue maniere rudi sottendono una linearità che può essere interpretata come ottusità o prepotenza, ma che, in realtà, esprime la modestia di un pensiero che sa di non potersi arrischiare nei contorti sentieri delle speculazioni filosofiche. Non è un caso se, in questo film, a leggere i saggi di Schopenhauer e a citare Friedrich Nietzsche e Bertrand Russell sono i criminali e i poliziotti corrotti. Alla malizia Gerry risponde con l’elementare fantasia del gioco, che può essere innocuo (come il suo assurdo allenamento nel nuoto di fondo), scabroso (come certi suoi divertimenti sessuali) ma anche micidiale (come l’impresa da guerriero che lo vede protagonista nel finale). Per lui, che può contare solo sulle proprie risorse, sopravvivere significa riuscire ad essere, all’occorrenza, tutto e il contrario di tutto, usando l’arma dell’immaginazione, senza mai abbandonare, tuttavia, la solida apparenza di un virile e sprezzante distacco.

The Guard è il lungometraggio di esordio di John Michael McDonagh, ed ha ricevuto, all’edizione 2011 del Festival di  Berlino, la menzione d’onore per la migliore opera prima. Un riconoscimento decisamente meritato, per un film che riesce a fare del classico povero diavolo un piccolo grande eroe negativo, lasciando, però, che, nel cuore di tutti, resti sempre e comunque un eroe.

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