Espandi menu
cerca
Una separazione

Regia di Asghar Farhadi vedi scheda film

Recensioni

L'autore

laulilla

laulilla

Iscritto dal 21 febbraio 2015 Vai al suo profilo
  • Seguaci 99
  • Post 15
  • Recensioni 665
  • Playlist 4
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Una separazione

di laulilla
8 stelle

Un bel film, un'ottima regia (che sa fare cinema anche per parlare d'altro) e ottimi attori giustificano la pioggia di orsi berlinesi (4), nonché l'Oscar come migliore film straniero...

 

Un visto regolare per uscire dall’Iran non è facile da ottenere: per questo Simin (Leila Hatami), che lo ha tanto atteso e che ora, finalmente, se lo trova fra le mani, vorrebbe servirsene per lasciare l’Iran e trasferirsi, con tutta la famiglia, negli Stati Uniti, dischiudendo per il futuro della figlia Termeh (Sarina Farhadi) migliori prospettive. 

Nader (PaymanMaady), suo marito, è trattenuto, però, a Teheran dall’affetto per il padre, che, malato di Alzheimer, non può essere abbandonato.

In attesa della decisione del giudice, in merito alla sua richiesta di separazione, Simin tornerà alla famiglia d’origine, mentre Termeh, che ha soli 11 anni, resterà col padre, sperando che la madre torni sui suoi passi, poiché, come spesso accade ai figli dei separati, ama teneramente entrambi e vorrebbe che riprendessero a vivere con lei.


Anche badare a un padre malato e non più autosufficiente non è facile, se si lavora, a Teheran come in qualunque altro luogo al mondo.
Nader, perciò, decide di ricorrere all’aiuto della signora Razieh (Sareh Bayat), affinché si prenda cura del vecchio durante la sua assenza.
Neppure per Razieh, tuttavia, sarà facile svolgere questo lavoro, per molte ragioni: è incinta e non dovrebbe sottoporsi a fatiche che potrebbero metterne a rischio la gravidanza; svolge un compito senza che il marito Hodjat (Shahab Hosseini) disoccupato, irascibile e violento, ne sia informato; è molto insicura nell’affrontare i problemi delicati che può incontrare nel suo lavoro e non sempre il Corano, di cui è convintissima seguace, sembra permetterle alcune operazioni indispensabili al malato, ma apparentemente in contrasto con la lettera del testo sacro.

 

Da questo intrecciarsi di tabù, divieti, menzogne più o meno esplicite, prendono il via gli sviluppi imprevedibili del film, che rappresenta un mondo fatto di contrasti, e di separazioni, non solo coniugali.
Vivono infatti in realtà contigue, ma poco comunicanti, le due coppie, quella  di Nader e Samin, che appartengono a una middle class socialmente rispettata e abbastanza agiata; e quella di Hodjat e Razieh, proletari forse da poco urbanizzati e con problemi di lavoro e di povertà, ma anche con comportamenti ispirati a un fondamentalismo religioso che negli arcaici ordinamenti giuridici e giudiziari di quel paese trova ascolto e protezione.

 

Colpisce, infatti, un aspetto, per gli occidentali quasi incomprensibile: il contrasto fra la modernità della capitale iraniana, il suo sviluppo tumultuoso – il suo traffico convulso, l’uso diffusissimo dei telefoni cellulari, la presenza di elettrodomestici nelle case – e l’inadeguatezza delle leggi, l’incapacità di distinguere fra reato e peccato, soprattutto fra i residenti più poveri della città che – privi di cultura, sono perciò stesso incapaci di agire con autonomia, tanto da ricorrere, quando sono in dubbio sul da farsi, all’autorità appositamente prevista per avere le indicazioni necessarie ad agire secondo la parola del Corano.


La scena in cui viene rappresentata questa realtà è fra le più drammatiche e impressionanti del film e descrive molto bene l’inconciliabilità del fondamentalismo religioso (non solo musulmano, direi) con le esigenze della vita urbana.


Poco comunicano, inoltre, il mondo maschile e quello femminile: il rapporto di coppia - nella realtà familiare senza parità - è reso ingarbugliato dai mariti, in genere  incapaci di stabilire veri rapporti sociali, che riescono a creare situazioni al limite dell’assurdo che toccherà alle donne affrontare e risolvere con quella tenacia paziente che proviene anche dalla più profonda coscienza delle implicazioni dolorose dei problemi aperti.

 

 

 

 

 

Le conseguenze di questi diffusi elementi di separatezza profonda sono nell’impossibile approdo a qualche mediazione accettabile per tutti: ognuno rimane arroccato alla propria verità, in un quasi pirandelliano gioco delle parti, in cui ciascuno continua a recitare se stesso, con grande sofferenza, nel caso raccontato dal film, delle due bambine, ovvero della piccola Somayeh, figlia di Razieh e Hodjat, e di Termeh, che a caro prezzo conquisterà la propria capacità di scegliere con chi stare.

 

Film di interni; pianosequenza inevitabili e movimentato uso della camera a mano che segue il crescendo del groviglio attorno cui la vicenda si avviluppa, stabilendo la giusta corrispondenza fra l’oggetto rappresentato e il modo della rappresentazione, soprattutto apprezzabile nella concitazione di alcuni momenti del film, particolarmente quelli che riprendono i luoghi che dovrebbero essere i più tranquilli (l’ospedale, il tribunale o l’intimità della casa), ma che catalizzano e fanno emergere, al contrario, le tensioni sotterranee fra i personaggi.

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati